Exte: hair extensions

Regia: Sono Sion
Cast: Ren Osugi, Chiaki Kuriyama, Megumi Sato, Tsugumi, Eri Machimoto
Produzione: Giappone
Anno: 2007
Durata: 108 minuti

TRAMA

Durante un’ispezione notturna a dei magazzini del porto, alcuni poliziotti scoprono un container ricolmo di capelli, usati appunto per le extensions, ed il cadavere di una ragazza. Non appena si effettua l’autopsia viene appurato che al cadavere mancano tutti gli organi interni, presumibilmente venduti al mercato nero nel business illegale dei trapianti. Notando che i capelli continuano a crescere anche dopo la morte, Yamazaki, un inserviente dell’obitorio feticista con la specifica ossessione per i capelli, trafuga il corpo e lo porta nel suo appartamento. L’uomo non solo nutre una profonda venerazione per i capelli femminili, ma cerca anche di trarne un profitto economico rivendendoli ai saloni di parrucchiere. Nel frattempo Yuko, una ragazza che lavora al salone “Gilles de Rais” (il nome è tutto un programma) nella speranza di diventare stilista, trova davanti alla porta di casa la nipote Mami, una bambina abusata dalla madre Kiyomi, e la tiene a vivere con sé e con la sua amica Yuki. In seguito Yamazaki rivenderà delle extensions al parrucchiere dove lavora Yuko, e chiunque le indosserà si esporrà alla terribile vendetta della ragazza, il cui spirito è ancora vivo. L’uomo, oltre ad essere un feticista misogino, è in contatto con lo spirito della ragazza morta, e la incoraggia a compiere le sue vendette. Invaghitosi dei capelli di Yuko (la Chiaki Kuriyama di “Kill Bill” e “Battle Royale”), cercherà di impadronirsene, ma la sua presunta confidenza con il fantasma gli si ritorcerà contro.

RECENSIONE

Immaginate un film che utilizzi tutti gli stereotipi tematici del J-horror, rinunciando consapevolmente a tutti gli accorgimenti stilistici tipici del genere: niente terrorizzanti apparizioni ai margini dell’inquadratura né estenuante costruzione della tensione, e neanche angoscianti e lentissimi movimenti di macchina.
Quel film sarebbe “Exte: Hair extensions”, l’ultima ed inclassificabile opera del sorprendente ed originalissimo Sono Sion, nonchè la prima ad essere realizzata con un budget consistente.
Sono Sion ha dichiarato in un’intervista di aver voluto realizzare una parodia del J-horror, ma certo lo ha fatto in maniera molto personale e senza rinunciare alla consueta libertà espressiva, mescolando anarchicamente horror, grottesco e devastante humour giapponese, e concludendo in un delirio surrealista che rischia di lasciare interdetti molti spettatori. I capelli assassini si insinuano dappertutto: non solo continuano a crescere anche dall’interno del cadavere, che Yamazaki ha sistemato in una specie di amaca-altare, ma escono dalla bocca delle vittime, dagli occhi, da sotto le unghie e persino dal fax, tanto che nell’iperbolico finale riempiranno letteralmente la casa di Yamazaki, sbarrando porte e finestre ed imbozzolando i malcapitati, come Shelob nel “Signore degli Anelli”. Tanto per rincarare la dose, le sventurate prese di mira dal rancoroso fantasma dovranno, prima di morire, rivivere in angoscianti flashback le circostanze della sua morte ad opera di tre energumeni mascherati, al suono di “Silent night, holy night”, evidentemente messa a contrasto per spiazzare lo spettatore.
Ma dove “Exte: Hair extensions” dà il meglio, o il peggio, di sé è nel personaggio di Yamazaki, un freak dalle improponibili acconciature interpretato da un Ren Osugi (un veterano dei film di Miike Takashi) sempre caricaturale e sopra le righe, a cui Sono Sion concede un demenziale numero musicale in stile drag-queen. Il regista porta insomma all’eccesso, sovvertendoli, quelli che sono ormai i luoghi comuni del genere ma riesce ad incorporarli nella propria personalissima poetica, senza scadere mai in uno “Scary movie” qualsiasi e senza negarsi qualche momento genuinamente inquietante. La regia, come al solito, fa un uso massiccio della camera a mano e ci regala qualche momento in puro stile cinema-verità, come nei momenti in cui segue il girovagare di Yuko in bicicletta, con la ragazza che si rivolge direttamente alla macchina da presa. Anche se sono presenti alcuni richiami ad opere precedenti del regista, come la dicotomia tra famiglie disfunzionali e famiglie “adottive” di “Noriko’s dinner table” e il tema degli abusi infantili, l’impressione generale è comunque quella di un “divertissement” che, pur meritevole di una visione, non raggiunge le vette del capolavoro “Strange circus”, ma neanche quelle dei riusciti “Suicide club” e “Noriko’s dinner table”.
Voto: 6,5
(Nicola Picchi)