Il nascondiglio

Regia: Pupi Avati
Cast: Laura Morante, Burt Young, Treat Williams, Rita Tushingham, Yvonne Sciò, Peter Soderberg, Sydney Rome, Giovanni Lombardo Radice
Produzione: Italia, USA
Anno: 2007
Durata: 100 minuti

TRAMA

Una donna, appena dimessa da un ospedale psichiatrico, è in cerca di una casa da affittare per aprire un ristorante italiano. Oltre alla casa, troverà anche un mistero da risolvere legato ad un fatto di sangue accaduto molti anni prima.

RECENSIONE

Se Terence Stamp nel “Toby Dammit” felliniano doveva girare “il primo western cattolico”, Pupi Avati con “Il nascondiglio” gira il suo quarto “horror cattolico” (anche se lui preferisce “thriller-gotico”), dopo piccoli capolavori come “La casa dalle finestre che ridono”, “Zeder” e “L’arcano incantatore” che ormai sono, nel genere, dei classici minori del cinema italiano. Evidentemente turbato dai paraphernalia della religione cattolica e dai suoi ministri, questa volta Avati ambienta il suo film in un ex-pensionato gestito da suore a Davenport, nello Iowa. Dopo un breve prologo ambientato negli anni ’50, troviamo Laura Morante che, appena dimessa da un ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata dopo il suicidio del marito, è in cerca di una sede adeguata per aprire un ristorante italiano. L’agente immobiliare Burt Young le propone una casa disabitata da anni, la Snakes Hall, che viene affittata ad un prezzo irrisorio. E qui lo spettatore inizia ad inquietarsi dato che, di questi tempi, una casa ad un prezzo accettabile è come minimo infestata, tantopiù se ha dei serpenti sulla facciata. Difatti, in men che non si dica, la poverina comincia a sentire stridule vocine, e ad avvertire inquietanti presenze al piano superiore. Indagando sull’accaduto, scopre che la casa era stata anni addietro scenario di un delitto, quando due novizie massacrarono la madre superiora e due anziane pensionanti. La Morante, invece di traslocare, decide di proseguire nella sua investigazione e, battendosi contro una rete invisibile di omertà e connivenze, di risolvere il mistero legato alla strage, che ovviamente non sveleremo. La prima impressione è che Avati non abbia guadagnato gran che dall’ambientare la sua storia oltreoceano, e che semmai abbia perso qualcosa per strada durante la traversata. Ovvero tutte le atmosfere che facevano la sua originalità ed anche la sua unicità, gli umori ed i sapori, anche neri e grotteschi ma tipicamente italiani, anzi emiliani, che da sempre hanno nutrito il suo cinema anche nei momenti più malinconici e fuori dal genere. L’ambientazione americana, al contrario, raffredda tutti i materiali di partenza distanziando lo spettatore, e rivela tutta la tenue inconsistenza del set cinematografico. Una sensazione che viene ancora più accentuata dalla sceneggiatura, che appare in gran parte irrisolta, con personaggi che spariscono nel nulla, come quelli del prete e dell’agente immobiliare, battute insensate (“In America i serpenti li consideriamo simboli fallici”) e svolte non particolarmente ispirate o prevedibili. Il tutto si tiene insieme solo grazie alla buona interpretazione di Laura Morante, di solito troppo caricata ma stavolta perfetta per il ruolo, ed alla regia, sempre di un livello più che dignitoso e con qualche colpo di genio, come nel lentissimo movimento di macchina che chiude il film, sulle note biascicate di “Magic moments”. Riassumendo, un Avati paradossalmente poco “avatiano”, e, se non gli si può fare una colpa di cercare nuove strade, è anche vero che non si può trovare il nuovo partendo dal vecchio. Molto avatiana è invece la scelta degli attori, con un occhio affettuoso a vecchie glorie come Rita Tushingham, ai suoi tempi icona del Free Cinema inglese, e Treat Williams e questo, se non è molto, è già qualcosa.
Voto: 6
(Nicola Picchi)