Titolo originale: Sakebi
Regia: Kurosawa Kiyoshi
Cast: Kôji Yakusho, Manami Konishi, Hiroyuki Hirayama, Joe Odagiri,
Riona Hazuki, Kaoru Okunuki, Ikuij Nakamura, Hironobu Nomura
Nazione: Giappone
Anno: 2006
Durata: 103 minuti
Yoshioka è un detective della polizia di Tokyo a cui viene affidata unindagine sulla morte di una donna che è stata trovata affogata, apparentemente in una pozzanghera, ma in realtà in acqua salata. Poco dopo lui comincia a vedere la donna vestita di rosso che ad un certo punto gli parla, accusandolo della sua morte. Gli omicidi aumentano e lui si trova in breve tempo a fronteggiare tre casi di persone morte affogate in acqua salata, ma ritrovati in prossimità di pozze di acqua dolce.
Qualcosa di serio è accaduto in un fabbricato nel porto di Tokyo alla fine della seconda
guerra mondiale, le tracce dellaccaduto giungono fino ad oggi attraverso le bizzarre
morti di cui il racconto è costellato. Il detective Yoshioka si fa strada a fatica tra le
sensazioni e gli indizi, senza capire quasi nulla fino a quando un fantasma vestito di
rosso comincia a parlargli. Lurlo di lei giunge da lontano, a testimonianza di un
passato sepolto, ma straordinariamente vitale. I terremoti che ne annunciano larrivo
sono anche essi ignorati, come lurlo che la dimenticata banshee lancia di tanto in
tanto. In una città grigia e resa tetra da un racconto che viene direttamente dal lato
ombra della sua storia, la donna in rosso appare, bellissima e dolente, come unico tocco
di colore, e le sue stigmate sono lacqua del porto e i terremoti. Il filo che lega
gli omicidi è in realtà assai visibile, ma non è quello che ci interessa. Quello su cui
lentamente metteremo lattenzione è il significato della parola castigo, un ritorno
dato a partire da unazione violenta e repressiva, il solo ed unico modo per
ricordare ciò che abbiamo avuto fretta di seppellire. Yoshioka è la parte di noi che non
vuole vedere e che ha fretta di dimenticare, è lemblema della nostra
responsabilità nel male che facciamo ogni giorno a chi ci sta intorno, senza neanche
accorgercene.
Il marchio di Kiyoshi Kurosawa cè tutto, in primo luogo la regia è perfetta, le
inquadrature sono inquietanti quanto basta a suggerire un dramma dellanima. La scena
dellinterrogatorio del padre di famiglia è da annali del cinema, tutta fuori campo
e con il solo aiuto di uno specchio vediamo compiersi la tragedia della colpa. Mentre le
due inquadrature dallalto, entrambe in interno e pertanto indicative di una
rivelazione inconscia, ci danno la visione del rimosso che lentamente emerge, senza drammi
nè clamori rappresentano quello che ciascuno di noi è dentro di sè, niente di più.
Luso dello spazio per cui il regista è giustamente famoso, è trattato qui con un
taglio essenziale, la visione dellaccaduto e la sua scoperta non vengono mostrate,
ma suggerite dalluso della camera fissa che evolve in un piano sequenza, come un
incubo che si stratifica ed acquisisce consistenza mentre lo viviamo. Come sempre Kurosawa
non ci spiega il perchè le cose sono accadute, se siamo fortunati a volte scopriremo
soltanto il come, ma le cause sono rimandate ad una dimensione proiettiva che
impreziosisce da sola la narrazione, stimolando il lato ombra dello spettatore.
Linquietudine di un corpo che ascende al cielo e contemporaneamente spinge un
malcapitato impiccione nel profondo delle sue illazioni, nellunica scena che concede
qualcosa alla tendenza modaiola dellultimo cinema di fantasmi, è talmente fuori
contesto da sembrare un dispetto fatto dal regista a chi lo accusa di scarsa tendenza alla
divulgazione dei contenuti del suo cinema. Luso degli attori è accurato e il
protagonista, lirrinunciabile Koij Yakusho, riesce da solo a reggere il contrasto
tra il passato ed il presente, senza mai un cedimento, e portandoci tristemente attraverso
la scoperta della sua colpa e del castigo che toccherà infine anche a lui. La donna in
rosso è il più bel fantasma dellintero cinema giapponese contemporaneo,
lurlo che lancia è quello di unintera generazione di donne vessate la cui
voce udiremo solo dopo la loro morte, dal momento che da vive mai avrebbero osato anche
solo parlare. Mentre la fotografia e le luci, incentrate, la prima sul racconto del
presente, e le seconde sullemergere del passato, raccontano con sobrietà
lennesima storia di colpa e rancore.
Kurosawa opera una scelta esattamente a metà tra la sua capacità narrativa superiore e
per molti versi ermetica e la spinta divulgativa che opprime i cineasti asiatici della sua
generazione, nel tentativo di uscire dalla frontiera di un cinema bellissimo ma
comprensibile solo in parte ad un pubblico, ed in alcuni casi persino una critica, che non
si prende la briga di documentarsi o semplicemente di lasciarsi andare al racconto ed ai
ritmi interiori di cui questo si fa portatore. Come nellultimo Tsukamoto
anchegli alleggerisce i contenuti rendendoli fruibili, ma rifiuta apertamente la
scappatoia degli spiegoni finali, lasciando lo spettatore da solo a fare i conti con il
materiale emerso nel corso della narrazione. E se pure è vero che la scelta finisce per
non accontentare nessuno, siamo comunque di fronte ad una tale superlativa regia da far
dimenticare tutto il resto e da spingere a rivedere i magici fotogrammi che da soli
raccontano la storia abusata dellultimo cinema di fantasmi che abbia ancora qualcosa
da dire.
Voto: 8
(Anna Maria Pelella)