300

Regia: Zack Snyder
Cast: Gerard Butler, Lena Headey, David Wenham, Dominic West, Vincent Regan, Michael Fassbender, Tom Wisdom, Andrew Pleavin, Andrew Tiernan, Rodrigo Santoro
Sceneggiatura: Kurt Johnstad, Michael Gordon, Zack Snyder
Fotografia: Larry Fong
Musiche: Tyler Bates
Produzione: USA
Durata
: 117 minuti
Anno: 2007

TRAMA

480 a.C. Un milione di soldati Persiani è pronto per invadere la Grecia. Ma affinché le altre città possano avere il tempo di ritirarsi e organizzare una difesa, il re di Sparta, Leonida, decide di fermare il nemico alle Termopoli, al comando di un coraggioso esercito di soli trecento uomini.

RECENSIONE

Passati dai disegni frankmilleriani alla celluloide zacksnyderiana attraverso un cervellotico lavoro di mouse e pannelli verdi, i trecento spartani fedeli a Leonida approdano nei cinema tricolore, col loro carico di sudore rilucente, sangue valoroso e addominali scolpiti nel marmo (e in sei mesi di palestra).
Zack Snyder (un passato plasticoso nel frenetico mondo pubblicitario, poi l’esordio cinematografico col movimentato remake de L’alba dei morti viventi, e ora ecco che, all’indovinato secondo capitolo registico, gli vengono spalancati i cancelli del Valhalla filmico) va oltre ciò che una (misera, coi tempi che corrono) macchina da presa potrebbe catturare; si spinge al di là del consueto tradizionalismo (storico) con cui una battaglia (storica) dovrebbe risorgere dalle ceneri, e richiama i fantasmi guerrieri a suon di effetti speciali e invenzioni visive che il nuovo cinema, quello figlio della post-produzione, ormai non ha più paura di nascondere.
In un certo modo avanguardistico, 300 va infatti visto come estremizzazione dello spettacolo, dove tutto, dalle luci alle scenografie, è costruito al fine di meravigliare con bombardamenti di posture scultoree, grida battagliere e balletti sensuali, e dove ogni centimetro di pellicola è lavorato nel campo di battaglia cibernetico in modo che gli occhi possano saziarsi di ciò che lo show è orgoglioso di mostrare.
A metà strada tra il fantasty e il peplum, la visionarietà Snyderiana punta tutte le proprie carte su una manipolazione ciclopica dell’atmosfera epica, dipingendo battaglie d’altri tempi sotto cieli pixellosi, nella ricerca di una bellezza estetica utopica e autocompiaciuta in ogni fradicio secondo.
La visione è appagante, innegabile, malefica traghettatrice in un mondo allucinato fatto di corpi nudi, lance perforatrici, impavidi paladini in costume, oracoli fluttuanti, mostri deformi e irriverenti drag queen dell’avanti Cristo. Snyder (e Miller prima di lui, ma il fumettista detiene almeno il copyright originale) si disinteressa totalmente di un’accuratezza storica (e di una trasposizione fedele del fumetto, preferendo evitare un rilettura vignetta per vignetta come il Sin City di Rodrigueziana memoria), inserendo giganti, elefanti, rinoceronti, e un macrocosmo di esaltazioni puramente visive che fanno brillare l’occhio ancorato dello spettatore.
Ed è ovvio che tanto bendiddio effettistico catturi per tutti i centodiciassette minuti del film, sciorinando episodi dall’alto tasso carismatico e dall’inesauribile scarica adrenalinica. Così come è dietro l’angolo l’impossibilità di scordare a breve termine l’orgiastico piacere di un infinito fiume in piena di splendore guerrigliero.
Ma oltre a tutta questa manna digitalizzata, resta forse qualcosa che non sia un mero luccichio nelle pupille? Domanda inutile, volendo, vista l’assoluta colpevolezza (ammessa con fierezza) di Snyder nel creare un film destinato al solo godimento visivo. Un male superficiale che comunque non viene per nuocere, forte di una sincerità sbandierata ai quattro venti e di cui nessuno si vergogna.
Risulta pertanto risibile l’accusa (o semplice sfottò?) di fuffa politicizzata relativa a 300, colpevole, secondo moralisti intellettuali sempre alla ricerca di facili attacchi, di una raffigurazione gravemente razzista della delicata situazione odierna.
Come potranno risultare insignificanti a molti le lamentele di chi ha vissuto l’opera originaria di Frank Miller, quella graphic novel che, accanto alla ben più blasonata serie di Sin City, è quanto di meglio sia uscito dalla magica matita del fumettista americano. Chi scrive non ha avuto l’onore di poter toccare con mano il capolavoro milleriano (e spera, di cuore, in una lucrativa operazione che porti in libreria una nuova edizione, magari meno dispendiosa degli intimidatori venticinque euro per ottanta tavole), e non può quindi provare il piacere di scandalizzarsi per lo scempio (evidente?) nei confronti di chi ha dato vita a tutto questo. Ma resto comunque gentilmente sostenitore della diversità degli universi artistici, ed è mia convinzione che questi vadano trattati, e insultati, se proprio bisogna, sempre e solo singolarmente, lasciando perdere inutili confronti che regalano solo sconforto e rabbia.
Meglio quindi sputare odio con Gerard Butler all’indirizzo degli ostili Persiani piercingizzati, lasciandosi conquistare da quella droga visiva che almeno soddisfa affamati appetiti cinematografici, oggi giorno davvero troppo vogliosi, certo, ma dai quali tutti quanti siamo affetti.
E ora appuntamento a Watchmen, prossimo lavoro di Snyder, nonché inevitabile pioggia di critiche, ampiamente prevedibili, verso la trasposizione della colossale opera del guru Alan Moore.
Voto: 7,5
(Simone Corà)