Alien vs. predator

Regia: Paul W.S. Anderson
Cast: Sanaa Latha, Raoul Bova, Lance Henriksen, Ewen Bremner
Sceneggiatura: Paul W.S. Anderson
Musiche: Harald Kloser
Produzione: USA
Anno: 2004
Durata: 97 minuti

TRAMA

Il ritrovamento di un’antichissima piramide in Antartide convince il multimiliardario Weyland a ingaggiare una super squadra di esperti, scienziati e avventurieri, al fine di scoprire i misteri celati in quel luogo abbandonato. Misteri che, però, dovrebbero rimanere là dove sono, visto che la piramide altro non è che teatro di scontro tra due potentissime razze aliene. E gli umani sono solamente una pedina per il loro gioco sanguinario.

RECENSIONE

Dopo le tamarre arti marziali (Mortal Kombat), la fantascienza intrisa d’orrore (Punto di non ritorno) e l’horror zombesco più tradizionale, o quasi (Resident Evil), Paul Anderson decide di mescolare il tutto, usufruendo però delle grazie - chiamiamole così - di due colossi del cinema: l’Alien di Gigeriana memoria che tanto ha sbavato, succhiato cervelli e perseguitato Sigourney Weaver in quattro film a lui dedicati, e il Predator che tanto ha fatto sudare Arnold Schwarzenegger nella jungla e Danny Glover nella jungla d’asfalto nel seguito.
Ora, chiariamoci, che non si fraintenda. Alien vs. predator va preso per quello che è: un giocattolo fracassone e costoso, dove le parole d’ordine non sono paura e suspance, sia mai, ma azione e botte da orbi. La trama è stupida, un mero pretesto per permettere ai due mostracci spaziali di menarsi e far scorrere quanto più sangue (metaforico) verde fosforescente possibile. Anderson dietro la macchina da presa è grossolano e impreciso, attento più alle sequenze lunghe e all’accoppiata alien/predator che sembra stia giocando a nascondino, che a un normale susseguirsi della vicenda. E infine, beh, gli attori - tolto un decente Henriksen, comunque infilato in un ruolo che più stereotipato di così si muore - son quelli che sono. Raoul Bova è intrappolato in una faccia pulita da fiction italiana che non ha niente da spartire con Hollywood e soprattutto con il cinema fantastico, mentre la Lathan regge bene la prima mezz’ora, ma quando è ora di mostrare i denti sembra abbia paura di fare un passo in più.
Il pregio, però, di film come questo (e comunque della produzione di Anderson in generale, sequel di Resident Evil - nei quali per fortuna è solo sceneggiatore - compresi) è che funzionano. Perché divertono nella loro improbabilità, appassionano nella loro leggerezza, e ovviamente stupiscono per la loro spettacolarità (punto focale, sbagliare qui significa chiudere baracca).
E quindi si può chiudere un occhio su tante cose che in film perlomeno seri verrebbero tacciate d’incapacità. Nell’osservare infatti che, in Antartide, a probabilmente quindicimila gradi sotto zero, non si vede il fiato dei protagonisti quando respirano si reagisce con una risata innocua. Nel domandarsi un motivo plausibile della continua trasformazione della piramide ci si risponde con un’alzata di spalle. Nello scoprire che gli alien germinano nel corpo della vittima e diventano adulti nel giro di cinque minuti cinque si dice “ok, quand’è che combattono?”.
In Alien vs. predator, si nota comunque una certa volontà di creare (invano) un minimo di legame sentimentale ai protagonisti prima che questi schiattino. La prima mezz’ora di film è dedicata a loro, i quali incredibilmente recitano dialoghi vivaci e intelligenti, ma ancora troppo superficiali per poter essere del tutto realistici. Alla fine, infatti, non c’è verso, e lo spettatore non farà il tifo per nessuno, sperando che muoiano tutti in un trionfo di armi iper tecnologiche e spruzzate d’acido.
Resta da dire che Anderson è assai meglio come sceneggiatore che come regista. Dietro la camera, infatti, si nota un lavoro assai poco curato, frutto anche di un montaggio imbarazzante, che appiccica tra loro sequenze in maniera scandalosa e per nulla fluida. Le lunghe battaglie tra gli alieni, per quanto spettacolari, peccano proprio di una certa incertezza registica di fondo, e più in là di un senso di confusione non si va.
Harald Kloser, dal canto suo, cerca di rimediare confezionando musiche roboanti e marziali, come si confà a prodotti come questi. Ma le note non riescono a coprire il pasticcio che c’è. E soprattutto non si grida al miracolo.
Come non ci si strappa i capelli per il comparto effettistico. Buona la scenografia, con una notevole ricostruzione della piramide misteriosa, tecnologica e antica ma non troppo, così come pregevoli sono i vari alieni. Quello che stona è la poca voglia di accentuare il fattore violento e gore. Se si può comprendere la totale assenza di sangue umano (e ripeto, totale assenza, cosa impensabile per un film nel cui titolo sono presenti i due alieni più sanguinari della storia del cinema), vista la destinazione blockbuster del titolo, non si comprende l’approssimazione del sangue alieno (comunque poco, molto poco), ridicolo, e che sembra colorato con un pennarello.
Il problema principale, in definitiva, è questo: Anderson non è coraggioso. Dovrebbe spingersi più in là nella caratterizzazione dei personaggi, dovrebbe spingersi più in là nella spettacolarizzazione, dovrebbe spingersi più in là in quanto a frattaglie e budella (in Resident evil ed Event horizon di carne al macello ce n’era parecchia, perché questo dietro front?).
Bocciato del tutto, quindi? No, assolutamente no. Perché Alien vs. predator, come detto qualche riga più in su, ha un pregio, magari stupido e banale, ma a suo modo importante: diverte. E che importa quindi se è fatto solo ed esclusivamente per gente che con la fantascienza e l’horror non ha niente a che vedere? A volte basta poco, molto poco per potersi gustare un film.
Voto: 5,5
(Simone Corà)