A mali estremi, estrema unzione

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2017 - edizione 9

«Guardati, padre Randall, sei a pezzi» gorgogliò la succube. «Perché ti ostini a lottare quando avremmo potuto scopare? Ci saremmo divertiti di più. Dai, stenditi vicino a me. Ti cavalcherò talmente tanto che dovrai implorarmi di smettere.»
Per l’ennesima volta stava sfruttando le mie debolezze. Delia, la sua ospite, era una donna estremamente bella. Se mi avesse fatto la stessa richiesta quando non era posseduta, non ci avrei pensato due volte. Fanculo i voti. Avrei sfidato qualunque buon cristiano a rifiutare un corpo così perfetto. Ma quella non era lei. Non più.
«Andiamo, prete» continuò, tentandomi con la voce suadente di Delia, «so cosa provi per me. So che non resisti alla voglia di farmi.» La bastarda mi leggeva nella mente. Mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stesso. E la cosa mi terrorizzava. La stavo nutrendo con le mie paure.
«Non scenderò a patti con te, demonio! Sono un servo di Dio!»
«Oh, così sia, padre. Allora, perché non scendi a patti con la mia fica?» Il suo risolino angelico mi colse alla sprovvista, e quando aprì le gambe mostrandomi il frutto proibito, il mio membro si fece turgido. La succube ammiccò compiaciuta passandosi la lingua sulle morbide labbra.
«Io… non… non posso…»
«Sì che puoi. Lo vedo quanto mi desideri. Dimostrami quanto sei uomo. Porta qui il tuo uccello e sbattimi come si deve!»
Senza rendermene conto mi ero già sollevato l’abito talare. Ipnotizzato dalla sua infinita bellezza, mi avvicinai. Ero in balia di quelle cosce mozzafiato, così lisce e sudate. Così invitanti…
Delia mi cinse i fianchi con le caviglie e mi guidò verso la sua vagina. In un attimo le fui dentro. Era calda e bagnata. Pervaso da una sensazione di piacere indescrivibile, cominciai a spingere, prima a ritmo lento, poi crescente.
«Così, figlio di una lurida cagna! Fottimi! Fottimi!» La creatura conficcò le sue unghie da arpia nella mia schiena e mi graffiò. Per qualche perverso motivo trovai quel dolore piacevole.
Venni dentro di lei. Solo a quel punto realizzai la follia appena consumata. «Mio Dio! Che cosa ho fatto?»
«Tutto qui, padre Randall? Mi aspettavo di meglio.»
«Vuoi di meglio? L’avrai, maledetta!» Furibondo, mi strappai il crocifisso dal collo e glielo esibii, recitando il Padre Nostro.
«Pensi ancora che il tuo Dio ti salverà? Non farmi ridere. Lui si vergogna di te.»
«Hai ragione. Il Signore non può fare più nulla per me. È tutto nelle mie mani. E giuro che ti annienterò!»
«Davvero? E vorresti riuscirci con quell’insignificante pezzo di legno?», ridacchiò, poi mi guardò incuriosita mentre estraevo la lama dalla base del crocifisso.
«Non è soltanto legno, ma freddo acciaio. Quello che userò per rispedire TE all’inferno!» Detto ciò, calai la lama sul suo petto e torsi con violenza, godendo della sua sofferenza.
La guardai, mentre la vita le scivolava via dal corpo, insieme alla viscida serpe che l’aveva profanata.
Mi portai il coltello alla gola e finii la mia preghiera. «… e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.»
Amen.

Danilo Castellano