Il cancellatore

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2015 - edizione 14

Per un attimo, Bejo pensò di essersi salvato. Dall'anfratto in cui si era nascosto riusciva a vedere bene la strada: la forza che stava inghiottendo il mondo scompariva e riappariva nel cielo a rapidi intervalli, sotto forma di uno squarcio nero. Strade, case e persone svanite nel nulla. Dissolte, cancellate. Bejo, che era nato e cresciuto in una famiglia cattolica, strinse in pugno il crocefisso che portava al collo. Credeva in Dio, ma sentiva che pregarlo in quel momento, durante un'apocalisse così asettica, diversissima da quella profetizzata nella Bibbia, non gli sarebbe stato d'alcun aiuto. Udì allora uno schiocco, uno strappo nell'aria. Alzò lo sguardo e vide che lo squarcio nero si era arrestato a pochi metri dal buco in cui lui si era rifugiato. Bejo si chiese se lo stesse osservando. Poi l'oscurità si mosse verso di lui. Bejo iniziò a correre nella direzione opposta. Urlando, chiedendo pietà. Ma non a Dio. Quella cosa era tutto tranne che Dio.

Si svegliò di soprassalto, sudato e confuso.
«Di nuovo quel brutto sogno?» farfugliò sua moglie. Lui annuì. Il respiro ancora corto, affannoso.
«Vado a prendermi un bicchiere d'acqua», disse, ma lei si era già riaddormentata.
Si alzò, andò verso la cucina. Mentre camminava nel buio della casa provò a focalizzare l'incubo appena avuto, ma eccetto qualche breve frammento, tutto il resto era già scivolato via. Giunto in soggiorno, notò che il laptop era rimasto acceso. Lo schermo era fisso sull'ultima pagina del mediocre racconto che stava revisionando, la storia di un criminale ispanico. Il cursore lampeggiava a margine di un discorso diretto:
«Ti prego, non uccidermi!»
Bejo, pensò lui. Sei scritto male, bello mio.
Selezionò il testo.
Nessuno sentirà la tua mancanza.
Il cursore divorò le parole. Non restò niente.
Fine

Andrea Sponticcia