Eterno ritorno

2° classificato al concorso "Premio Scheletri", 2015 - edizione 7

Ci aveva provato la prima volta. Aveva detto ai suoi sette figli che l’indomani mattina, sul presto, sarebbero andati a far legna là dove gli alberi si fanno più fitti. Li aveva svegliati all’alba. Li aveva condotti nel folto del bosco, li aveva convinti ad allontanarsi in giro per fascine, e poi, non appena quelli erano scomparsi alla vista, se l’era svignata.
Era tornato a casa gongolante. Era rientrato, aveva sbattuto la porta dietro di sé, e con aria trionfante aveva esclamato, all’indirizzo della moglie, “fatto. Ce ne siamo sbarazzati. Quelle sette bocche da sfamare non saranno mai più un peso!”.
Quella notte i loro corpi si erano incontrati in maniera travolgente e carnale. Con una violenza dimenticata da anni.
Ma i sette figli, quelle sette bocche da sfamare, la mattina successiva erano tornati.
“Idiota! Buono a nulla! Inetto!”, aveva urlato la donna al marito, con tutta la rabbia di cui era capace. “Non sei nemmeno in grado di abbandonare sette mocciosi in un bosco!”.
“Ecco che cosa ho trovato nella sacca del più piccolo!”, aveva proseguito quell’arpia implacabile, scagliandogli contro una manciata di sassolini bianchi e aguzzi. “Ti sei fatto fare fesso proprio dal più grullo di tutti e sette!”.

E così, dopo qualche giorno, ci aveva riprovato. Per la seconda volta. La sera prima era stato attento a chiudere a chiave i sette ragazzetti, quando li aveva mandati a dormire, in modo che nessuno di loro potesse ripetere l’impresa di far scorta di pietruzze da disseminare lungo il bosco.
Allora, il tentativo era parso andare a buon fine. Almeno per un po’ di giorni. Fino a quando i sette non erano rientrati baldanzosi, con il più piccolo che guidava il corteo con la spavalderia di un generale vittorioso.
Era stato nuovamente travolto dalla collera irrefrenabile della moglie, che aveva preso a ingiuriarlo, scaraventandogli addosso le scarse e malandate suppellettili della loro misera abitazione.
Infine, e per la terza volta, ci aveva riprovato. Ma quella volta le cose sarebbero andate diversamente. Non si sarebbe più fatto prendere in giro da quel marmocchio spocchioso. Quella notte, aveva atteso che i figli sprofondassero nel sonno ed era sgusciato nell’oscurità della loro stanzetta impugnando un badile. Poi, aveva calato l’attrezzo con forza sui crani dei sette dormienti. All’alba, aveva trascinato a uno a uno i sette corpi nel bosco e li aveva seppelliti.
Ora era di nuovo di fronte a casa sua. Il sole ormai era alto. Si stava asciugando via dalla fronte il sudore accumulato con tutto quel vangare e rivangare. Era affaticato, ma soddisfatto. Non avrebbe mai più rivisto quei sette mangiapane a tradimento. Proprio questo stava pensando, quando si voltò a guardare in direzione del bosco nel quale aveva sotterrato le spoglie dei sette figli. E li rivide.
Procedevano in fila indiana, con andatura incerta e sbilenca. Le gambe legnose e barcollanti. Le orbite degli occhi vuote e spente. In testa ancora lui. Il più piccolo.
Inutile. Pollicino torna sempre.

Francesco Calè