Nella terra

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2014 - edizione 13

Aria calda e pesante, figlia di un buio pesto, sinistro, completamente impenetrabile. Le mie pupille diventano enormi per captare ogni singolo briciolo di luce che latita sotto la coltre claustrofobica in cui sono immerso. Una sagoma di legno mi circonda le spalle e la testa, le gambe... ovattato, come chiuso in un cassetto. Non riesco ad accavallare le gambe, a girarmi su un fianco; sento tentoni, nel buio pesto, che un'altra tavola di legno, uguale a quella su cui sono appoggiato di schiena, si posa a pochi centimetri dalla mia faccia. Un silenzio assordante in cui sento, distinto, il battito del cuore, il sangue nelle vene. Un'ossessionante sinfonia composta dal mio cuore palpitante e il respiro affannoso che rende l'aria ancor più pesante, e ferma, e calda. Le gambe addormentate.

I miei sospiri, il rimbombo delle mie urla soffocate dalla coltre che mi circonda nell'angolo buio in cui sono rinchiuso. Senza fame, senza sonno, senza sete; gratto il legno fino a consumarmi le unghie e la carne, senza un goccio di sangue che cola sul legno umido. I pochi centimetri che mi sono concessi per vivere sono densi e sudati, e io cieco, senza un fiotto di luce.
“Il suo nome era Jebedia Puttersmey, tragicamente privato della vita nella giornata di ieri, 7 ottobre 1659. Preghiamo affinchè la sua anima misericordiosa e pia venga accolta alla destra di Nostro Signore”... recita una voce che si percepisce, ovattata, dall'alto.
Il mio nome è Jebedia “diavolo” Puttersmey, e ora ricordo di essere morto ieri. Assassinato perchè lo meritavo, dopo aver commesso ogni tipo d'abominio rinnegando il Signore. Non sono stato accolto nel Regno Beato, e dimoro qui, sotto di voi...
sepolto vivo.

Marco Orlando