Desiderio

Il re e la regina vivevano in un bellissimo castello, circondato da un fiorente villaggio e da fertili campi, con spighe di grano talmente perfette da sembrare fatte d’oro zecchino. Il clima era mite e soleggiato: poiché lavorare la terra non costava più di tanta fatica, ai contadini restava tempo per divertirsi. Nell’aria si spandeva il profumo del gelsomino e della lavanda. Anche a corte ogni occasione era buona per organizzare splendenti feste con lauti banchetti.
Fu così che il re organizzò una giostra a cavallo. Tutti i cavalieri si vestirono delle loro scintillanti armature, che mai avevano indossato per un combattimento, perché in quella terra incantata giammai era esistita una guerra. Il re stesso volle partecipare al torneo, ma nel bel mezzo dei giochi cadde nel lago. Subito venne trascinato a fondo dalla pesante corazza, a nulla valendo gli eroici tentativi di salvarlo da parte degli altri prodi cavalieri.
La giornata terminò con il pianto inconsolabile della regina. E da quel giorno l’incanto fu perduto. I festeggiamenti ed i tornei vennero banditi. Il cielo si oscurò e il tempo divenne perennemente piovoso: pure loro vollero essere partecipi di un così grande dolore. Per questo motivo, il raccolto finì per guastarsi ed infine marcire nei campi, sommerso dalle inondazioni. Il villaggio si impoverì e gli abitanti finirono per sperimentare fame e carestia. I consiglieri più assennati vennero allontanati dalla corte, mentre il tesoro reale si assottigliò miseramente.
La regina divenne dispotica, pronta ad imprigionare chiunque fosse stato sorpreso anche soltanto a sorridere in quel reame dove la felicità diventò un miraggio. Lei stessa continuò a recarsi al lago, piangendo in solitudine ogni giorno la scomparsa del suo re: pioggia, lacrime ed acqua del lago divennero una cosa sola, un solo immenso dolore. Fu così che una fata uscì da quelle stesse acque, intenerita dal continuo pianto della regina. La fata si disse commossa da cotanta tristezza, pertanto offrì il suo aiuto. Ne avrebbe esaudito il desiderio più grande: il perduto amore sarebbe tornato. Le condizioni furono accettate senza riserva alcuna e tutto venne eseguito seguendo le istruzioni.

La regina attese di notte il ritorno del consorte, perché così le era stato promesso dalla fata. Si abbigliò a festa, per la prima volta dopo così tanto tempo di lutto: indossò uno splendente abito dorato, intendendo rendere il massimo onore. Sentì bussare al pesante portone e il cuore le accelerò nel petto mentre trepidante gli correva incontro. Erano state sacrificate dodici vergini alla fata del lago: tanto salato era stato il tributo da pagare per il ritorno dell’amato.
Il patto stretto con la creatura le aveva reso le mani lorde di sangue, ma il desiderato ritorno valeva ben quel prezzo, mentre a ben vedere le vergini facevano parte della servitù. Neppure si accorse che la veste dorata così intrisa di rosso sembrava ormai il grembiule del macellaio di corte, così come dimenticò di sciacquare via il sangue dalle mani con cui avrebbe voluto accarezzare il volto dell’amato. Ma la poveretta ormai non si curava più di siffatti dettagli.
Il re salutò la sua regina, cadavere gonfio e ripugnante, dagli occhi folli e spalancati. Quando volle parlarle, acqua melmosa gli uscì dalla bocca in un incomprensibile gorgoglio, mentre allargava le braccia per un abbraccio che, anziché caldamente, si rivelò oscenamente accogliente. La sventurata realizzò in quel frangente di essere stata ingannata da una perfida strega, la quale approfittando del suo dolore aveva chiesto il sacrificio di sangue di così tante, innocenti e splendide fanciulle: in cambio, aveva riportato alla vita un essere orrido e marcescente.
Sovrani e regni felici esistevano soltanto nelle fiabe, comprese troppo tardi una così stolta regina. Inoltre, mai era successo che una fata del lago si offrisse di esaudire gratuitamente il desiderio di una mortale. Infine, quello che era morto doveva rimanere tale. Quando tornò, il suo compianto consorte lo fece soltanto per condurla all’inferno.
Il re si ricongiunse infine alla regina trascinandola nell’abisso senza fondo, dove ancora oggi soffrono mille tormenti.

Gianluca Ingaramo