Volti agli alberi

3^ classificata al concorso "Premio Scheletri", 2014 - edizione 6

Mirella ripone nel portabagagli il suo acquisto.
Fino ad allora ne aveva vista una solo in un film horror. Il commesso della ferramenta le ha garantito che usarla è facile: è un modello leggerissimo, adatto anche a una donna. Lei si è fidata.
Incastra la tanica di miscela dietro il sedile e aspetta la notte in un bar. Raggiungerà Pieve di Gattice quando tutti dormono.

 

Ci sono momenti nella vita in cui ogni cosa sembra cominciare a correre.
Orfeo si decide a sposarti, trova una casa in un borgo dimenticato tra i monti, ti chiede di seguirlo.
Vendi tutto e vi ritrovate lì, spaesati, circondati da vecchietti mansueti e un caminetto acceso dieci mesi l'anno. C'è uno spaccio, un'osteria, una chiesa, un cimitero. Al posto delle croci hanno già piantato un albero e quello che ora è tuo marito va in brodo di giuggiole: l'usanza vuole che nel tronco, un giorno, si scorga la faccia del morto. Tu lo prendi per scemo e ti sembra di non resistere, in questa solitudine antica che ammanta case e persone. Eppure pian piano ti abitui. La felicità goccia dal latte appena munto, sfrigola nei funghi grigliati, crepita nei ciocchi d'abete rosso spaccati dalla fiamma. Poi, un SUV passa veloce e te la porta via, assieme alla spina dorsale di Orfeo. Con un nome così, non poteva durare, scherzava tua madre, ma non intendeva questo.
Continuare a vivere a Pieve è il tributo da pagare al destino: il giorno del funerale, un giovane carpino si prepara all'accogliente abbraccio.
Da sola però, niente è magico.
Soffri di insonnia. Ti sei comprata un cane e lo porti in giro la notte, bardata d'abiti come un guerriero sconfitto.
I vecchi dicono che non dovresti fare così, ché una donna deve stare a casa, come loro, soprattutto la notte di San Giovanni. Mentono. Li senti al buio, negli orti, chiacchierare, tossire, ridere, scatarrare. Ti avvicini per salutare e li trovi soli, torvi o imbarazzati, che cercano di nascondersi dietro un albero o scappano in casa. Li hai disturbati e ti odiano, ma non capisci perché. E così finisci in cimitero, in lacrime, e inginocchiata ti confessi al carpino. Ti accorgi che un nodo nella corteccia e due tane di picchio sono uno sguardo, un giudizio feroce. Devi farlo smettere. Anche gli altri.

La motosega si avvia borbottando. Si sveglieranno, verranno a fermarla.
Mirella appoggia la catena dentata al primo tronco, preme, il rumore si fa rantolo, l'albero grida, un fiotto di sangue le schizza in faccia. Una bocca si spalanca, il viso di un vecchio urla dalla corteccia, cerca di fuggire barcollando sulle radici, ma la donna insiste: la chioma recisa si contorce come un nido di serpi. Fuori uno!, pensa, ghermita dalla follia. Cerca il prossimo bersaglio, ma le fronde del carpino la bloccano.
La trova una vecchietta, la mattina seguente.
L'intestino è una ragnatela tesa sulla punta dei rami. Mirella, sventrata e crocifissa al tronco, con gli occhi sbarrati, respira ancora.
La vedova la ignora: si avvicina all'albero assassinato e intona un
Eterno riposo.

Giorgia Gallerio