Catene

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2013 - edizione 5

Era a letto, in dormiveglia, da qualche parte l’orologio segnava le 5.47, regnava il silenzio e lui lasciava che il mondo reale prendesse il posto dei sogni.
Gli sembrò di scorgere una figura, uno strano simulacro fatto di buio, qualcosa che pulsava negli angoli scuri della mente. Cercò di destare il corpo dal torpore notturno ma questa in un istante era già lì a fianco al letto, con una mano gli tappò la bocca.
Lui immobile, gli occhi sbarrati, le braccia abbandonate lungo il corpo fissava la sagoma nera senza volto. Attimi di terrore, silenzio, panico, angoscia... lentamente le dita scesero sulla gola, era paralizzato. Non un suono, non un movimento, non un respiro... nulla poteva contro quell’essere che pareva avergli tolto ogni capacità di reazione.
Un odore pungente di putrefazione gli pizzicava il naso: l’ombra si chinò su di lui quasi a mostrargli l’abisso. La mano gelida e umida stringeva di più e in un rantolo disperato nei suoi occhi la supplica di chi è disposto a qualsiasi altra cosa.
Realizzò che il suo problema non era il dolore fisico né la paura di morire ma il rimpianto di aver lasciato troppe cose non concluse, occasioni perdute, non aver vissuto le proprie passioni, né seguito l’istinto. Ma ormai era tardi, non poteva più nulla per evitare quell’atroce sofferenza. Era il suo inferno.
Nel momento in cui scorrevano questi pensieri la mano allentò, il sangue ricominciò a scorrere, riprese a vedere nitidamente... a respirare.

Ringraziando dio per essere sopravvissuto una risata agghiacciante gli rimbombò nella testa negando la sua mente.
Nessun dio: vide con orrore tre bestie immonde, un misto tra un cane rabbioso e un orso, vaghe sembianze umane, furie primitive. Progenie di qualche anima condannata all’oblio.
Sulla schiena uno scheletro di ali lacerate sbattevano tra loro come catene contro cancelli. Lo fissavano ringhiando e lui li fissava di rimando, non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare... l’ombra ammirava il suo capolavoro.
Era diventato nulla, era tutto quello che non avrebbe mai voluto essere. Abituato a pensare e ragionare su ogni particolare ora non riusciva più a distinguere cos’era reale... Era in balìa del solo istinto di sopravvivenza che, troppo spesso ignorato, non rispondeva più agli stimoli esterni. Le sue peggiori paure avevano preso vita.
Le bestie gli si fiondarono contro, sulla gamba... sul braccio... e l’ultimo sul fianco, bucavano la carne in un salasso di vita. Se lo contendevano, scarnificavano, sbranavano: lo stavano mangiando vivo. Lo bramavano. Le ossa laceravano il corpo, gli intestini si riversavano come vermi sul letto, le gambe erano moncherini ricoperti di sangue e bava.
La stanza un tripudio di orrori: marciume e liquidi permeavano l’aria e lui guardava la sua morte. Il corpo un relitto divorato sotto i suoi occhi... l’ultimo morso alla giugulare mise fine a quegli orrendi istanti... il sangue scendeva a fiotti... gli occhi si richiudevano per farlo crollare finalmente in un sonno reale e profondo...

Giovanna Scaringi e Alessandro Pennati