Il ladro

Soltanto due ululati si rincorsero l'un l'altro sotto la notte, ma sapeva che stavano soltanto nascondendo il loro numero. Non erano meno di sei, contò. Ed erano vicini.
Il vicolo dove stava correndo fumava del vapore delle fogne e rari sprazzi di luce, artificiale, spezzavano il buio quasi vivo; poteva lanciarsi dentro a quella luce, immergersi in mezzo ad altre persone, ma non sarebbe servito a salvarlo.
Doveva fidarsi soltanto delle sue gambe, doveva fidarsi del suo intuito, doveva fidarsi della sua cupidigia, di quell'occhio di smeraldo nella sua borsa, cavato dall'occhio dell'antico idolo, che sarebbe fruttato migliaia di drani.
Ma le gambe cominciavano ad essere stanche, i suoi passi pesanti, gli occhi annebbiati. Quand'ecco che una grande sagoma nera si levò alla sua destra e con la coda dell'occhio vide una costruzione, una casa dalle due torri decadenti e dal tetto a doppio spiovente.
Poteva essere un buon luogo per nascondersi? Le finestre erano vuote, era come un frutto avvizzito. Scartò di lato e balzò sul muro di mattoni mezzo marcio. Atterrò nel giardino, ormai divenuto una distesa selvaggia di piante uncinate. Rapidamente arrivò fino al muro della casa; una finestra del piano terra più avanti era crollata. Balzò dentro e rimase immobile, acquattato sotto il davanzale.

Vicino, molto vicino, gli ululati grattarono contro i muri, si inerpicarono sui comignoli storti, ma l'ultima nota era pervasa da un lungo tono di indecisione. E poi di scorno. Avevano perso le sue tracce... così velocemente?
Il ladro era stupito, ma la sua fortuna non lo abbandonava. Mai.
Si allontanò dalla finestra cercando un luogo più nascosto, un nido di ragno dove nascondersi fino all'alba. Entrò in un vasto salone, i bianchi tendaggi strappati, immobili, ma proprio in quel momento tutti i suoi muscoli si congelarono. Aveva sentito nitidi, veloci, passi. Qualcuno camminava al piano di sopra.
Non poteva credere che fosse abitata, ma forse...
Raggiunse la porta in fondo e scoprì che era chiusa, a chiave. E non era vecchia e cadente come il resto di quella casa, ma si sarebbe detta il lavoro recente di un falegname, con il profumo ancora della resina addosso. Il suo naso prese a vibrare: cosa si nascondeva in quella casa...?
Non era affatto certo che i segugi avessero desistito, ma... non sarebbe stato un ladro se non avesse preso subito mano agli arnesi da scasso e, con mani abili come quelle di un delicato orafo, non avesse fatto schioccare la serratura.
La porta era aperta e lui la spinse, infilando l'occhio nella fessura. La stanza era male illuminata da una luce che proveniva dalla rampa di scale in fondo. C'era poco mobilio, un tavolo, una sedia, un divano girato con lo schienale nella sua direzione.
Il ladro entrò silenzioso e senza fare rumore girò intorno al divano, rimanendo bloccato, come una statua di marmo. C'era una ragazza distesa sul divano. Vestita soltanto di un velo trasparente e di un succinto perizoma, dormiva, le labbra turgide serrate in un'imbronciata smorfia. Il ladro allungò la mano e toccò la pelle morbida delle spalle: non aveva visto una pelle così liscia nemmeno nei bordelli di Altrua!
Ma la ragazza non si mosse, continuò a dormire.
Nell'agile mente del ladro si erano formati altri pensieri. Quella donna doveva essere una signora, o se non lo era, era la schiava costosa di un signore molto potente.
E che conduceva affari non molto chiari, perché, chi altro avrebbe abitato in una casa che dall'esterno era una rovina, e dentro nuova?
Allora benedì la sua fortuna: perché non solo aveva preso l'occhio dell'idolo, sopravvivendo ai segugi, ma era capitato per caso in una nuova pentola d'oro. I rumori di piccoli passi si ripeterono nel soffitto sopra di lui. Se avesse sorpreso il padrone, con il pugnale contro il collo, uscendo dal buio, una mano sconosciuta che veniva dal nulla, il terrore lo avrebbe fatto parlare. Dire dove teneva l'oro e mettere le mani su più drani di quelli che poteva sognare!
Abbandonò la ragazza misteriosa e prese a salire lentamente le scale, e giunto in cima vide un lungo corridoio che si perdeva nel buio al di là. Con grande attenzione scivolò sul pavimento di legno e tastò la prima porta. Chiusa.
Allora andò alla seconda porta in ordine, tastò la maniglia. La porta era aperta e vi fece una lieve pressione. La porta si aprì lentamente e l'interno era completamente oscuro: non era entrato dunque nessuno neppure in questa stanza?
Fece un passo avanti e di fronte a lui comparve improvvisamente una figura, bianca come la paura. Davanti a lui era comparsa una ragazzina, di non più di dodici anni, vestita di una vestaglia bianca, che sfolgorava nel buio. La ragazza lo fissava diritto in faccia e il ladro fece comparire nella sua mano uno dei pugnali.
Ma la bambina si salvò per un pelo, quando disse: «Chi c'è? Chi c'è là? Sei tu, Miriam?»
Gli occhi con cui la bambina lo fissava erano completamente ciechi. Trattenne il fiato, fece divenire di pietra ogni muscolo. La bambina rimase un attimo perplessa, poi disse: «Strano, credevo che ci fosse qualcuno qui!» e soggiunse: «Sachi, Sachi, dove sei?» e avanzò verso il ladro.
Fu rapido nello scansarsi e uscire nel corridoio. Anche la bambina uscì, cercando “Sachi”. Doveva conoscere a memoria ogni angolo della casa, perché il suo piede non vacillò nemmeno per un istante.
Raggiunse le scale e scese sicura; il ladro la seguì come se fosse divenuto un fantasma. Invece di scendere nella stanza dove dormiva la donna entrò nel salone a fianco. La ragazzina camminava nel buio e il ladro la seguiva, camminando lentamente, adattando pian piano gli occhi all'oscurità. Gli uomini hanno paura del buio, perché in esso si nasconde quello che non si vede, il ladro pronto a scattare, una lama nelle tenebre. L'oscurità che avvolgeva la bambina era come una cappa nera, come un mantello per il ladro, come l'acqua per un pesce.
«Sachi!» esclamò la ragazzina, quando una cosa grossa e pelosa saettò tra le sue gambe, gli occhi come due smeraldi baluginanti.
«Sachi, dove eri finita?» disse ancora, prendendo in braccio la gatta.
Il ladro si concesse l'ombra di un sorriso; due donne e un gatto, una dormiente e una povera cieca.
«Andiamo di sopra, dove c'è il camino... non senti che freddo, Sachi?» disse la bambina, ma il gatto si voltò dal suo braccio verso il ladro, e cominciò a soffiare.
«Che ti succede?» disse lei «Cosa hai visto? Un topo?!»
Un topo, sì, ma con due braccia e un coltello affilato, ragazzina!
«Spero che non sia un topo!» esclamò la bambina «Mi fanno paura i topi! Ma cos'hai da soffiare tanto? Papà diceva sempre che i gatti possono vedere cose che gli uomini non possono vedere, perché sono gli animali delle streghe! Hai visto forse un fantasma, Sachi?»
Un fantasma in agguato, ma fin troppo di carne, e con desideri troppo terreni, fanciulla!
«Ah ah!» rise però la bambina con una risata simile al cadere di monete d'argento «Ma io non credo nelle ombre e nelle streghe!»
E il ladro credeva solo nel bottino. Per prima cosa avrebbe preso la bambina: l'avrebbe chiusa dentro qualche stanza, e poi avrebbe legato la donna che dormiva. Mancava soltanto di attendere questo “papà”, che il suo intuito gli diceva non essere in casa. Anche se il suo intuito gli diceva, nello stesso tempo, di come fosse strano che la bambina ne avesse parlato al passato.
Ignorò quel campanello d'allarme; la sua fortuna lo aveva portato fin là, la sua cupidigia non si era soddisfatta con l'occhio dell'idolo.
La ragazzina uscì con Sachi in braccio, facendole le moine. Risalì le scale e quell'ombra nera la seguiva: questa volta andò fino alla quarta porta e quando la spinse un confortevole lucore di rossastro fuoco si diffuse nel corridoio. La bambina si sedette su di un grande divano di raso verde, di fronte al camino dal sinistro parafuoco, che mostrava fiamme e corpi danzanti intessuti nel ferro battuto.
Il ladro si fece lentamente dappresso, fino a vedere il bianco collo della bambina. E questa, voltandogli ignara le spalle, prese a parlare con il suo gatto: «Perché sei scappata Sachi?» disse «Ti stavi annoiando? Allora permettimi di raccontarti una storia...»
Il ladro stava decidendo; colpirla e lasciarla tramortita, o uscire e chiudere semplicemente a chiave la porta? Ma la bambina poteva gridare.
«... molto tempo fa, in un paese molto lontano...» raccontava la bambina «... c'era una strega bambina che voleva visitare l'inferno...»
Il ladro si bloccò; l'inferno?!
«... ma come fare, se era ancora viva?» continuò «Le cose del mondo le erano a noia; ogni malvagità, ogni depravazione, ogni peccato degli uomini che la circondavano erano ormai come vecchi giocattoli che non si guardano più. Ma l'inferno, sì, la fonte di tutti i mali! Laggiù avrebbe trovato nuovi giocattoli!»
E mentre parlava il fuoco, che prima erano soltanto braci spente, pareva crescere, ma non per questo aumentava la luce, semmai aumentavano le ombre. Il ladro non riusciva a muoversi; sudore freddo gli imperlava la fronte, ma non capiva perché, perché sentisse improvvisamente paura.
«E come fare, mia piccola Sachi?» disse la bambina «Allora ella invocò l'aiuto di un diavolo, e questo diavolo arrivò, uscendo dalla cenere del camino... e il diavolo le disse...»
«Un patto!» disse d'un tratto un'altra voce, né maschile né femminile «Un patto richiede: un gioiello prezioso per pagare l'obolo al traghettatore, perché chiuda un occhio sul corpo ancora vivo che fa attraversare l'Acheronte!»
«E cosa richiedeva, questo demone, piccola Sachi?» chiese con voce di trillo di fata la bambina.
«Il fine naso di un ladro!» gridò l'altra voce e il gatto era ora enorme, con arti come chitine di osso e occhi come fornaci ardenti e la bocca fumava come metallo rovente.
E si rovesciò sul ladro e il ladro seppe di essere perduto.
Ma con l'ultimo scatto di intelligenza gridò: «No! Fermati! Ti propongo un patto...! Un gioiello più prezioso! Questo, l'occhio di smeraldo dell'idolo di pietra!»
Il demone tuttavia lo afferrò per le spalle e udì la risata argentina della bambina sovrastare il ruggito di fuoco del camino: «Mio piccolo ladro, anche la tua depravazione è solo noia! Tramavi per il collo bianco di una bambina indifesa... ma anche questo è già stato fatto, su questo mondo opaco!»
Ma un coro di ululati scoppiò all'esterno e unghie mostruose presero a grattare sulle pareti, sulle porte, sulle finestre. I segugi alla fine lo avevano trovato.
«I segugi sono arrivati, sono perduto!» implorò il ladro «Ma piuttosto lasciami a loro, non voglio perdere il naso nella fornace della bocca di questo diavolo!»
«Meglio morto che mutilato?» rispose la bambina dagli occhi ciechi «Sei divertente, ladro! Verrai anche tu con me all'inferno; ci condanneremo entrambi alla fiamma eterna prima che a condannarci sia Dio!»
E le gran mascelle roventi del demone si chiusero sulla faccia del ladro.

 

Al mattino, quando le campane suonano l'alba e le ombre scappano nelle loro tane e i fantasmi si rinchiudono nei loro sepolcri, un vagabondo rovistava nei rifiuti nel vicolo dietro la grande casa abbandonata, che si diceva fosse infestata.
Ma ecco che comparve, sorta come dal suolo, vicino a lui una donna di una bellezza bruciante, vestita di un velo trasparente, che mostrava tutto il suo corpo come un frutto troppo maturo di peccato. E il mendicante rimase quasi cieco nel vederla; e questa, con voce come di miele che cola da un favo, disse: «Prendete, uomo: quello che la fortuna dà, la fortuna toglie!» e porse un sacco dall'aspetto pesante alle sue mani tremanti.
Il mendicante osservò il sacco, ma quando alzò lo sguardo, la meravigliosa fanciulla era scomparsa. E allora aprì furiosamente i legacci, ma con un grido di terrore lo lasciò cadere a terra. Ne scapparono fuori una pietra rotonda e lucida, grande come un uovo di struzzo, verde come l'erba, e un lungo e affilato naso troncato dalla faccia.

Damiano Lotto