Pericolo di morte

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2012 - edizione 4

Si tirò su la cerniera e si diresse verso la moto parcheggiata a fianco della centralina elettrica, a volte urinare poteva essere il più impellente dei bisogni e lui non ne poteva più di guidare con la vescica ridotta ad un gavettone.
Si stava per mettere il casco quando lo vide: era passato decine di volte per quella strada ma non l’aveva mai notato, anzi non si era mai neppure posto il problema che ci potesse essere un sentiero.
Quelli del comune erano stati più veloci del previsto, aveva preventivato di fare ritorno a casa molto più tardi quindi perché non farsi una bella camminatina?

 

Il sentiero finiva nei pressi di un pozzo abbandonato, sopra ad esso ed alla miniera in rovina incombeva la montagna, con il suo ventre devastato dalle escavazioni; doveva aver camminato un bel pezzo a giudicare dalla posizione del sole, il cielo nel frattempo aveva assunto un colore che non prometteva nulla di buono, era meglio darsi una mossa prima di prendersi un fulmine in testa.
Fece l'itinerario a ritroso, provando un lieve disagio, la zona non era mai stata granché popolare ma oggi non aveva incontrato anima viva, nemmeno un occasionale cercatore di funghi.
Si stava già alzando vento quando giunse in vista della moto, passò a fianco della centralina e si fermò, inorridito: cos'era quell'orrendo tanfo? Forse la carcassa di un animale? Strano, all’andata non l'aveva sentito.
Diede un’occhiata in giro e scorse un'ombra aleggiare tra i pini, non riuscì a reprimere un brivido e per un attimo fu tentato di andarsene; si riscosse prontamente: no signori, lui non era cagasotto, era alto uno e novanta ed era istruttore di krav maga, se c'era qualche stronzo nelle vicinanze l'avrebbe conciato per le feste. Gli avrebbe fatto pentire di essere nato.
Si mise a gironzolare tra gli alberi, guardingo, non gli sarebbe dispiaciuto pescare un bracconiere con le mani nella marmellata e rovinarlo di botte.
Malgrado il suo furor germanicus si costrinse a rinunciare, stava cominciando a piovigginare ed aveva sentito un paio di tuoni in lontananza, tornò verso la radura imprecando.
Un’improvvisa folata di vento recò con sé un fetore immondo, un sentore di tomba scoperchiata assieme ad un’inquietante rumore di ossa che cozzavano.

Urlò. Un urlo folle che gli strappò le corde vocali, un ululato lancinante che proveniva dal profondo del suo essere, un terrore cieco ed incommensurabile, nero come un abisso senza fondo.
Inchiodato a terra, incapace di emettere un suono e di muoversi ebbe tutto il tempo per assistere alla scena, prima che venisse a prenderlo.
Quei cartelli con su scritto “PERICOLO DI MORTE” sul limitare della strada, che gli avevano fatto tanta impressione da piccolo dicevano il vero, non erano fantasie infantili, era tutto come si era immaginato, il peggiore degli incubi si era materializzato.
La vide venire verso di lui, ondeggiando lievemente e brandendo la falce, avvolta nella sua funebre veste.
Era la Morte in persona ad aggirarsi per quei boschi.

Fabio Mario Bullo