Zombie street

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2012 - edizione 4

E' l’imbrunire, è quasi buio è l’inferno. Sono solo, barricato in casa, non ho idea di che cazzo stia succedendo. Quello che ho appreso lo devo solo a ciò che vedo da giorni. E ciò che vedo è terribile. Ho il culo appoggiato sul pavimento e la schiena contro la sponda del letto. Non so perché me ne sto qui come un idiota ma non riesco a reagire. Il mio respiro affannato mi gonfia oltremodo il petto. Una settimana. È passata una settimana. Sto crollando, non resisterò ancora molto. La situazione non è migliorata, al contrario di quanto dicevano in TV. In un amen è scoppiato il finimondo e per strada impazza il delirio. Mi sollevo a fatica, paralizzato dalla paura, trascinandomi fino alla finestra. Scosto cautamente un angolo della tenda per guardar fuori. Sono attaccato alla parete, come se qualcuno mi avesse preso per il bavero sbattendomi al muro. Osservo di sbieco, mentre rigiro ossessivamente il lembo di cotone tra le dita. L’orrore mi circonda. Per strada scorgo macchine abbandonate alla rinfusa, con le portiere aperte, e brandelli di cadaveri sparsi ovunque in pozze di sangue scuro che impregnano l’asfalto. I cadaveri mi sembrano diminuiti rispetto a ieri. I morti si alzano da terra e camminano. Qualcuno cerca ancora di scappare, odo urla di disperazione che mi squarciano i timpani. Vedo una ragazza che fugge terrorizzata “dove vai stupida!” grido a denti stretti “resta in casa”. Chi corre per strada non ho speranza, sono troppi, sembrano camminare lenti e con andatura scomposta ma sono troppi... ovunque, in ogni angolo. Chi viene preso inizia a gridare ancor più forte, fino a quando dalla bocca non fuoriesce altro che un suono gorgheggiante, liquido, e poi il nulla. Deve sperare di essere divorato, per non diventano come loro.

Ne vedo tre inginocchiati, con la testa che si agita sul torace di qualcuno steso a terra. Non posso fare niente, posso solo guardare a bocca aperta quel massacro. Fisso un altro corpo. Lo riconosco, è Andrei, un ragazzo di origini russe. Il suo corpo d’improvviso viene scosso da spasmi. Sta succedendo anche a lui. Ha la t-shirt imbrattata di sangue. Il suo corpo è cereo e il volto è scavato da profonde occhiaie viola. Una guancia è completamente strappata, il profilo mostra la mandibola e dalla faccia gli penzola un pezzo di carne. A fatica si alza e barcollando inizia la sua marcia, quel vagare senza meta spinto dall’irrefrenabile desiderio di carne e sangue. Andrei si blocca a pochi metri dalla finestra. I miei occhi incrociano i suoi, vitrei e senz’anima. Lascio la tenda e sposto di scatto la testa, sbattendo la nuca contro il muro. Il cuore picchia all’impazzata e sento l’adrenalina che inizia a pompare rovente nelle vene. Sono immobilizzato dalla paura. “Sciocco scappa”. La finestra accanato a me esplode e nella stanza si libra una pioggia di vetri. Un braccio livido mi afferra, vedo la manica di una t-shirt rappresa di sangue. Poi una testa, che grugnisce e spalanca le fauci. È Andrei. Mi ha morso. Sono fottuto.

Francesco Lupo