La trappola di Lisa

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2012 - edizione 4

Il senso d'angoscia che sentiva salire dallo stomaco fin su nella gola era lo stesso con cui si era incamminata verso la casa, all'imbrunire. Osservando meditabonda le ultime braci ardere nel focolare, ricordò l'espressione dell'uomo che aveva aperto la porta, stupefatto nel trovarsi davanti una bambina sconosciuta che gli chiedeva ospitalità per la notte dopo aver vagato tutto il giorno smarrita nel bosco. Tanto il padrone di casa quanto la signora ed il figlio avevano creduto senza problemi alle menzogne di Lisa; d'altronde, l'ansia sul suo volto era autentica, mentre ripeteva a se stessa che quella volta sarebbe stata davvero l'ultima.

 

Nel silenzio sonnolento della casa, si era spostata per le stanze come un topolino, preparando la strada per lui. Che, là fuori, da qualche parte, attendeva. Riusciva senza sforzo ad immaginarlo sempre più nervoso, man mano che le ore passavano. Lui odiava le notti d'estate: duravano davvero troppo poco.

 

Lisa aprì infine la porta. Eccolo lì. Spaventoso come sempre, e irritato.
“Ci hai messo troppo. Volevi tenermi fuori fino all'alba?”
“Scusa. Il ragazzo s'è alzato molte volte per bere.”
“Hai tolto tutto?”
“Sì. E' stato difficile con i crocifissi sopra le porte, ma ora è tutto a posto.”
“Che aspetti? Dillo.”
“Senti...” Esitò, poi prese coraggio. “Hai promesso... questa è l'ultima volta e poi mi riporterai dalla mia mamma, vero?”
Lui ghignò, mostrando i denti aguzzi che tanto le facevano orrore. “Certo.” Sì, l'ultima davvero, pensò: la piccola stava ormai diventando fastidiosa.
“Allora... puoi entrare” sospirò la bimba.

Normalmente, sarebbe rimasta ad ascoltare le urla, i tonfi ed i rumori del massacro in atto al piano superiore rannicchiata in un angolo, cercando di non pensare alle gentilezze che quella famiglia le aveva usato. Ma non quella sera. Si mosse silenziosa e veloce come aveva appreso da lui, sperando con tutto il cuore che le leggende che aveva sentito fossero vere.

 

Scendendo rapido dalla scala di legno, lui si accorse subito che qualcosa non andava.
Fetidi vapori provenivano dagli stipiti di porte e finestre che Lisa aveva strofinato con l'aglio che aveva trovato abbondante in cucina. Ed ecco che la bimba stava depositandone una resta sull'ultimo gradino, completando il cerchio-prigione formato a terra dai crocifissi staccati dai muri e dai numerosi rosari che lei aveva trovati appesi al pomo del letto della signora, di sopra.
“Che stai facendo?”
“Non ti credo” rispose la piccola. “Mi dici sempre che la mamma è viva e mi aspetta, ma non mi ci porti mai. L'hai uccisa, come il mio papà e la mia sorellina, vero?”
Dunque era vero! Stordito dagli effluvi, l'essere malvagio non aveva potere sulla sua mente. “Tu sei cattivo, e io non voglio più aiutarti a fare male alle persone.”
Bloccato nella mistica gabbia, lui la guardò dirigersi verso la porta ed aprirla. Gridò, ustionato dai primi raggi di luce dell'alba inesorabile.
Lei rimase finché lui non fu cenere.
Poi, finalmente, uscì nel sole.

Silvia Castellucci