Killers

Essere qui, non è ciò che volevo, essere qui, è l'antitesi di ciò che rappresenta la mia anima... se ancora ne ho una.
Come ogni sabato sono seduto sulle scale di cemento della mia vecchia scuola superiore, a bere con gli amici, a pensare alla mia vita; pensare mi viene facile, il problema è pensare in modo positivo. La Tequila passa giù liscia come acqua, il suo sapore dolciastro è ormai parte di me da parecchio tempo e nemmeno lo sento più; il mio stomaco si lamenta, ma quando mordo il limone e ne succhio la linfa tutto torna alla normalità. Mi sento bene, l'alcool sta già iniziando a fare effetto. Lo sento caldo e piacevole dentro le mie vene. Posso farlo, ancora qualche bicchierino e potrò farlo senza alcun problema.
La notte è buia e senza stelle, fredda come il ventre di una donna sterile; a qualcuno potrebbe non piacere, il cemento si sovrappone ad altro cemento, il verde è solo un miraggio e gli occhi delle persone che vivono qui sono spenti, come il mio amore per la vita.
Vorrei tanto farla finita, vorrei prendere la pistola e sbriciolarmi il cervello; riempire di rosso carne l'interno dell'abitacolo della mia macchina, ma non posso. O almeno, non ancora.
Solo quando lei sarà salva, potrò farla finita; mancano solo tre erranti e questa notte scenderemo a due.
Non ci sono molte macchine fuori dal locale e le poche persone che riescono ancora a tenersi in piedi non fanno caso a me e ai miei due compagni; il buio ci nasconde e non abbiamo ancora bisogno dei passamontagna. Li indosseremo dopo, quando saremo dentro e l'odore di polvere da sparo sostituirà questo orribile tanfo di merda misto a olio motore.

Questo errante non mi piace, ha una famiglia, ha una bellissima moglie, ha un cazzo di cane con un giardino curato all'inglese; ha un sacco di cose, ma questo non gli ha impedito di trastullarsi con il figlio del mio datore di lavoro.
Fidatevi, non lo odio per questa futile sciocchezza; io non sono un santo, non sono un cattivone con problemi psichici a cui hanno rovinato l'infanzia. Questo errante non c'era nella mia lista la settimana scorsa, questo stupido mucchio di carne deambulante mi sta dando un lavoro in più e io sono stanco di lavorare. La devo salvare, alla svelta e questa è l'unica cosa che conta.
Infilo la mano all'interno della giacca, stringo la pistola che mi sono portato dietro e me la infilo nei pantaloni, cercando di non dare troppo nell'occhio; non servono molte capacità per ammazzare la gente, io sinceramente rispetto solo due piccole regole: primo, non farsi prendere mai dal rimorso, questa stupida ed infima emozione rallenta i tuoi sensi e ti rende un facile bersaglio. Se il tuo obiettivo potesse, ti ucciderebbe lui per primo, e gli piacerebbe anche; quindi è meglio non dargliene la possibilità, credimi. Secondo, non fare mai l'eroe, non serve; gli eroi non sono antiproiettile e se li becchi sanguinano anche loro. E sono proprio questi due semplici motivi ad avermi convinto a portare sempre con me il mio piccolo team, amici d'infanzia, amici di quello veri, di quelli che non ti sparano alle spalle; se uno di noi cerca di rompere una di queste regole, gli altri lo rimettono in riga. I nostri ingranaggi funzionano alla perfezione ed il sangue non è altro che il lubrificante perfetto per questo genere di cose.
Apro la porta di legno di fronte a me e con un segno del capo indico ai miei compagni di seguirmi, ci facciamo largo tra le fastidiose luci al neon rossastre, che indicano l'entrata e tra una serie di sbuffi ed esclamazioni poco gradevoli finalmente siamo dentro.
Dieci tavoli e dodici sedie, quattro persone a destra, tre a sinistra e due sono sedute al bancone; il barista è una donna e questo sì che mi sorprende, è davvero bella: capelli rossi e lentiggini fanno solo da cornice ad un seno, che molto probabilmente avrebbe creato più di un problema in un locale del centro.
Mi sorride, l'ultima volta che ho visto un sorriso così falso ero steso a letto con la mia ex moglie e stavamo scopando; ricambio il sorriso con un nulla di fatto, Karem mi passa la foto dell'errante. Con la mano la scosto, non mi serve nessun aiuto, conosco già il suo viso.
Gli dico di stare qui, è una cosa personale.
Passo vicino al bancone, la rossa continua a sorridermi; per accontentarla ordino una birra e gli chiedo dove sono i cessi. Di solito lui si trova li, a divertirsi alle spalle degli altri. In tutti i sensi.
I bagni dovrebbero essere la zona più pulita del locale, ma l'unica cosa non cosparsa di chissà quale liquido è il soffitto; le pareti sono decorate con delle scritte molto artistiche: Non vedo l'ora di sbattertelo nel culo! Anche io! Sono la tua CHECCA! 2346695812 Chiamami!!
Delle vere e proprie pietre miliari.
Qualcuno sta ansimando, uno dei due cubicoli adibiti a cagatoi è chiuso.
“Stai fermo cazzo! Non ci riesco se ti muovi!”.
“Non mi sembra una buona idea, lasciami! Ci ho ripensato! Non voglio!”.
“Ma che cazz..!”.
La frase non finisce, ma non è necessario; ho già capito chi dei due devo ammazzare, finalmente l'ho trovato.
La porta di legno si apre di colpo, un ragazzo sui diciotto anni, venti al massimo, ne esce con gli occhi disperati; trattiene a stento le lacrime, mi vede e senza dire niente se ne va come una donna abbandonata sull'altare. Ora siamo soli, io e lui. Come ai vecchi tempi.
Lui esce, è completamente nudo, ma questo non sembra turbarlo troppo; mi sono messo il passamontagna prima che potesse vedermi in volto, questo però non cambia la sua espressione.
La solita vecchia faccia trionfante, colma di boria e sicurezza di sè; mi fissa incuriosito, non sa bene cosa dire, glielo leggo negli occhi.
“Tu chi cazzo sei?”.
Non rispondo, mi tolgo la giacca, non voglio sporcarla con il suo sangue.
Il suo sorriso aumenta di intensità, sembra essere in preda ad un furore animale.
“Ho capito! Non c'è bisogno che tu dica nulla! Vieni qui tesoro, ci penso io a farti divertire!!”.
Allunga una mano verso di me, come se stesse offrendo delle caramelle ad un bambino; ho aspettato questo momento da moltissimo tempo e finalmente è giunto.
Estraggo la pistola da dietro la schiena e gliela punto alla testa, la mano di lui si blocca, come congelata; il suo borioso sorriso se ne va, muore lentamente e lascia spazio a quella che potrebbe essere chiamata senza timore, disperazione.
Cerca di parlare, la sua bocca si apre, ma non ne esce nulla; ora sono io a sorridere, sorrido di gusto, sono dannatamente felice.
Abbasso la canna della pistola all'altezza delle sue ginocchia e sparo, il proiettile perfora la rotula disintegrandone la cartilagine; una miriade di piccoli frammenti ossei dipinti completamente con il suo sangue volano un po' dappertutto; sembrano coriandoli, semplici e leggeri pezzi di carta colorati. Il bastardo soffre, ha appena imparato che il ginocchio è il punto più doloroso del corpo umano.
Lui urla, lui urla molto, ma non arriva nessuno; Karem e Cana stanno facendo il loro lavoro, bene. Avrò più tempo per divertirmi, non voglio ucciderlo subito, no; sarebbe tutto troppo semplice, in fin dei conti ha ancora un ginocchio sano e io non faccio discriminazioni.
Un altro colpo risuona all'interno del bagno, altre grida, altro sangue si mischia con il piscio rappreso sul pavimento; lui è a terra, lui è lì e mi guarda, mi insulta, ha paura. Sa che sta per morire ed il su cervello cerca disperatamente una via di fuga, vedo le sue pupille vagare come farfalle spaventate; appena smetteranno di muoversi avrà capito, avrà capito che l'unica cosa che potrà salvarlo è un miracolo. Ma il mio lavoro non lo permette, impedire i miracoli è il mio mestiere.
Mi avvicino a lui, lo guardo molto attentamente; è nudo come un verme, striscia come un verme, non ha più le rotule e penso che stia morendo dissanguato, ma non è abbastanza.
Chiudo gli occhi, ripenso al passato.
“Non è abbastanza”.
Il suo volto peggiora ulteriormente, inizia a sudare; non sembra nemmeno più sentire il dolore alle gambe, l'unica cosa che sente è il profumo del fato. Lui è sempre stato uno bravo a scappare, conosce bene l'odore della violenza, ma oggi gli è andata male; oggi la sua faccia viene trascinata dalle mie mani fino alla tavola del cesso a farsi una bella immersione. Oggi, mentre sta affogando in uno squallido cesso fuori città, dove non ci sono pesci a fargli compagnia, un uomo con un passamontagna, che un tempo era suo fratello, gli sta per conficcare un ultimo proiettile nel cranio; appena sentirò l'odore della polvere da sparo, il mio lavoro qui sarà finito.
Addio fratello, vorrei dirti che mi dispiace, o che mi sento in colpa, ma non è cosi.

Arkante

Sono di Bergamo, ho 24 anni e mi sono laureato in scienze della comunicazione a Bergamo e da poco ho terminato un master a Milano in scrittura e produzione per la fiction e il cinema. Scrivo da più o meno cinque anni e il mio scrittore preferito è senza dubbio Stephen King, con IT come miglior libro.