Aria condizionata

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2010 - edizione 9

Solo quando varcò la soglia dell’obitorio dell’ospedale e abbassò lo sguardo davanti al grande crocefisso che sovrastava le bare, si accorse di aver indossato due scarpe diverse e il dolore che aveva represso fino a quel momento lo scosse fin nelle ossa e fuoriuscì dalle orbite in rivoli acquosi.
I fazzoletti dei presenti si adoperavano frenetici, impegnati alternativamente ad asciugare il dolore e ad eliminare il sudore dai volti lividi in quella mattina d’agosto; colavano come candele votive davanti a un Santo.
Affacciato sul feretro, si accorse che gli sguardi dei parenti saltavano con insistenza agli operai che nell’angolo della stanza erano intenti ad installare un condizionatore d’aria. Ora capiva quella sensazione d’attesa sui volti dei presenti: non erano per il prete che ritardava. Solo allora la sua postura si modificò, catturato dalle tute viola dei tre lavoratori e dalla loro strana somiglianza; non sembravano tre gemelli ma tre espressioni diverse della stessa persona.
Diversi minuti dopo il sollievo fu doppio: l’arrivo del sacerdote coincise con la fine dei lavori. I tre, con movimenti silenziosi, azionarono l’apparecchio refrigerante, raccolsero gli attrezzi e chiusero la porta d’ingresso.

L’aria cambiava lentamente, e ai primi piaceri del freddo seguirono delle scosse, pura elettricità che attraversava la stanza e faceva tremare i presenti a ritmi diversi. Forse solo i defunti ascoltarono le parole del prete: ”... e nel giorno del giudizio cammineremo insieme nell’ombra del Signore...”, quando si svegliarono e in modo repentino cominciarono a divorare i cari, che come vespe impazzite in un alveare non trovarono altra via d’uscita che nella morte.
La stanza sembrava un cuore aperto: sangue, arterie e carne ancora viva ovunque, al battito furioso degli zombi. Questa fu l’ultima immagine che impressionò il suo cervello prima di capire, abbracciato ai piedi del Cristo, che pregare non sarebbe servito a niente.

Donato Ruggiero

La mia passione per il cinema horror italiano (Lucio Fulci & co.) mi ha portato per la prima volta a mettere nero su bianco i miei "incubi".