L'ultima tomba

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2010 - edizione 9

Muovendomi nel chiarore lunare, a tratti attenuato dalle nuvole, trovai il loculo indicato nelle istruzioni. Il silenzio di quell'antico cimitero era rotto solo dal sordo frusciare dei cipressi, mentre dal terreno si alzava una nebbia leggera. Entrai nella cappella buia e posai la borsa dell'attrezzatura. Dovevo aprire la bara portata quella mattina e asportare le ghiandole surrenali e del midollo osseo, metterli nel refrigeratore e consegnare il tutto al dottor Brown, che mi avrebbe pagato discretamente per quel materiale. Prima o poi avrei fatto il salto e lavorato solo per le industrie, allora sì che avrei guadagnato bene.
Con la torcia sulla testa, cominciai a svitare i bulloni del marmo. Bastarono poche martellate per rompere il cemento sottostante. Tirare fuori la bara e poggiarla a terra fu più difficile perché pesava, ma ero abbastanza pratico. Mentre rimuovevo le viti del coperchio, con la coda dell'occhio scorsi un'ombra muoversi fuori, nella nebbia. Sperai non avessero assunto un custode, anche se sapevo tutto su quel cimitero.

Ecco il cadavere. In fretta, misi a nudo l'addome, da dove avrei prelevato le surrenali. Ogni tanto mi fermavo e restavo in ascolto. Con lo scalpello staccai un pezzo d'anca e aspirai un po' di midollo; stavo pensando se prenderne ancora, quando qualcosa mi strinse una spalla. Mi voltai di scatto col cuore che scoppiava e illuminai un volto umano, orrendo e marcio. Ero talmente paralizzato che quella cosa riuscì a chinarsi, agguantarmi il viso e mordermi una guancia. Urlando la spinsi via e mi precipitai fuori, correndo all'impazzata verso l'uscita. Vidi altre di quelle creature che, lentamente, si muovevano tra le lapidi, e per un attimo incrociai i loro occhi spenti.
Ho deciso di farla finita con questo mestiere, sicuro. Anche perché credo che il mio corpo stia cominciando a marcire e... Dio, che fame.

Danilo Concas