Il buongustaio

Giuliano era morto. L'aveva abbandonata in un grigio pomeriggio di novembre, pochi giorni dopo la festività di Ognissanti. Era stato un gatto simpatico, scaltro, tenero e feroce a seconda delle occasioni, che lui sapeva abilmente sfruttare a suo vantaggio. La sua occupazione principale durante la giornata era procurarsi da mangiare, e il resto del tempo dormiva. O ascoltava. Era capace di stare seduto ore e ore vicino alle persone, guardandole in faccia con apparente noncuranza, mentre parlavano. Gli piacevano le carni prelibate, perciò ideava appostamenti diabolici per intercettare il volo dei colombi oppure organizzava temerarie incursioni nei cortili del vicinato per razziare i soffici pulcini.
Tina gli era particolarmente affezionata, anche quando divenne vecchio e malato, e ricordava ancora quel giorno, quando lo vide disteso a terra vicino all'ingresso. Sembrava che dormisse, ma quando lo toccò e non si mosse, realizzò con orrore che il suo amico era andato via per sempre. E pianse.
Due mesi dopo, tornò.
Tina si trovava seduta sul divano, mentre leggeva uno dei suoi libri di cucina, quando, con la coda dell'occhio, vide qualcosa di piccolo che si muoveva. Il suo primo pensiero fu che il coniglio nano fosse riuscito ad aprire la porta della gabbietta, poi voltò la testa e lanciò un urlo.
Riconobbe subito Giuliano per il suo tipico portamento: stava fermo sulla porta a guardare a destra e a sinistra agitando pigramente la coda. Una parte di lei, quella più razionale, le diceva che non poteva essere lui, che era morto e che nessuno, uomo o animale che sia, poteva tornare dalla morte.

L'altra parte, quella più antica e superstiziosa, le urlava di tenersi pronta, perché qualcosa non stava andando per il verso giusto. Prestò ascolto alla parte razionale, continuando a fissare quel gatto e notando ogni singolo particolare: del suo manto restavano sporadici ciuffi di pelo grigio, un occhio era scomparso lasciando il posto a un'orbita vuota e nera, mentre l'altro era ricoperto da una membrana lattiginosa. Non aveva più le orecchie, e in più punti spuntavano le costole ricoperte da carne marcia. Tina sentì l'impulso di alzarsi e scacciare quell'orrenda bestiaccia che era entrata in casa chissà come, poi si bloccò, quando il gatto tremolò come un'immagine su una vecchia pellicola e scomparve. Un secondo dopo ricomparve sul bracciolo del divano a mezzo metro da lei; Tina si ritrasse e il suo cuore aumentò pericolosamente i battiti, le mancava il respiro e il terrore aveva paralizzato tutti i muscoli del corpo. Con la mente ormai svuotata da ogni pensiero e volontà continuava a fissare quell'orribile visione, finché nuovamente scomparve e riapparve sul suo grembo. Tina era prossima al collasso; quella cosa che ora si trovava accovacciata sulle sue gambe non poteva essere reale, tuttavia ne sentiva il peso e l'orribile tanfo di putrefazione.
Il gatto alzò il muso sporco di terra e sniffò verso il viso della ragazza, che adesso stava tremando e lacrimando. Posò le zampe scarnificate sul suo petto e, pian piano, la costrinse a distendersi; gli venne facile, perché Tina era ormai morta. Restò seduto su quel nuovo cadavere, in attesa di qualcosa che non conosceva ancora bene ma che stava cominciando ad apprezzare. Poi fece tre respiri profondi, assaporando l'anima fresca che esalava dal corpo inerte sotto di lui.
Era meglio di qualunque leccornia avesse mai assaggiato.

Danilo Concas