Il cilindro

Mentre passava il binocolo al tenente, il sergente Koppler sussurrò una frase che esprimeva stupore.
“E' incredibile... qui nelle Ardenne, a pochi chilometri da un paesino sperduto.”
Osservando in silenzio l'ufficiale cercava di capire la causa di quello stupore.
Distingueva nitidamente le tre case che formavano il piccolo borgo, i tetti rossi e malandati, i muri delle costruzioni in parte sventrati dai bombardamenti. Quello che inquadrò subito dopo con il binocolo però, non rientrava nella consueta tipologia del paesaggio campestre nel quale si trovavano immersi.
Era un cilindro alto circa due metri, costituito da quello che sembrava cristallo e contraddistinto da un intenso color porpora. Due contadini sorvegliavano con aria stanca il solido, armati con semplici fucili da caccia.
“Davvero singolare. Muoviamo verso quelle case. Voglio la mitragliatrice sempre pronta a sparare... meglio non fidarsi troppo!”
L'autoblindo iniziò a muoversi, mentre il caporale Herald preparava l'arma.
La strada fangosa, invasa da numerose pozzanghere, costringeva il veicolo ad avanzare lentamente.

Mentre si avvicinavano alle case i soldati continuavano a lanciare occhiate curiose all'insolito cilindro, notando gli strani movimenti che ne animavano il colore.
L'autoblindo si fermò di fianco ad una stalla, a pochi metri sulla sinistra del cilindro. Con gesti rapidi ed esperti il tenente scese dal mezzo, seguito dal sergente e da due soldati.
“Herald tu coprici con la mitragliatrice!”
“Agli ordini tenente!”
Avvicinandosi ai due contadini di guardia l'ufficiale e i tre soldati iniziarono a presagire qualcosa di insolito. Forse era lo sguardo spento dei civili, o l'insolita cadenza con cui si muovevano.
Giunto a meno di due metri dai civili, i nuovi arrivati ebbero conferma alle loro impressioni. Quei volti dall'aria ebete, i rivoli di bava agli angoli della bocca e la respirazione contratta non lasciavano adito a molti dubbi.
Con un gesto quasi involontario i soldati aumentarono la pressione delle mani sulle armi che impugnavano.
Fu il tenente a prendere la parola.
“Buongiorno, a cosa serve questo attrezzo?”
Concentrando lo sguardo verso il loro interlocutore i due contadini iniziarono ad intonare una nenia incomprensibile.
“Al Abraz, nemes Kazar, codes Kazar...”
“Che diavolo farneticano?”
La domanda spontanea dell'ufficiale non trovò una pronta risposta da parte dei suoi uomini.
Il sergente Koppler si dimostrò più sbrigativo.
“Credo sia meglio arrestarli e consegnarli alla Gestapo!”
Idea respinta.
“Non dire idiozie sergente, cosa credi di risolvere con un arresto! Vediamo piuttosto di scoprire cosa c'è all'interno del cilindro.”
I soldati si avvicinarono ulteriormente all'incredibile oggetto, mentre la nenia dei contadini aumentò d'intensità.
Attraverso il liquido torbido contenuto nel solido, osservando con più attenzione, i soldati notarono gli enormi scarafaggi dalla corazza grigia che vi fluttuavano all'interno.
Le parole pronunciate dai due abitanti erano ormai un flusso inarrestabile.
“Chiamiamo una compagnia di guastatori e facciamo pulizia di questo schifo!”
Il tenente si girò per tornare verso l'autoblindo. La nenia si interruppe improvvisamente, l'esplosione del cilindro seguì pochi attimi dopo.
Le schegge investirono i soldati mentre precipitavano al suolo: l'ufficiale e i due soldati morirono sul colpo. Il sergente Koppler, ferito solo lievemente, si rialzò velocemente e iniziò a divincolarsi, cercando di scacciare i numerosi insetti che si arrampicavano sull'uniforme. Poi con brevi raffiche di mitra cercò di disperdere la numerosa colonia che stava aggredendo i cadaveri dei suoi camerati.
I colpi non bastarono, e presto gli insetti ebbero la meglio. Rimase per qualche istante inorridito ad osservarli, mentre li vedeva gonfiarsi del sangue estratto dalle loro vittime.
Quasi di corsa tornò all'autoblindo gridando all'indirizzo dell'operatore radio.
“Chiama il comando, facciamo venire i guastatori!”

 

Quando le ultime fiammate smisero di lambire il terreno, le carcasse bruciacchiate degli insetti grigi lasciavano scie quasi impercettibili.
Con aria disgustata il sottoufficiale si incamminò verso l'autoblindo, già pronto a muovere. Gettò un ultimo sguardo rapido ai due contadini, seduti sul sedile posteriore di una vettura della Gestapo, e controllati da due soldati armati.
Sembravano recitare con voce flebile una lenta e incomprensibile preghiera.

Stefano Folli