Silenzio

«Ci sono domande?»
Silenzio
Un tremulo sorriso gli si scavò sul volto, scoprendo denti di un biancore abbacinante. Gli occhi verdi del professore indagarono i volti dei suoi ventidue studenti, ciascuno con le labbra serrate. La soddisfazione gli detonò nel petto: finalmente ci era riuscito! La terribile III C, dopo tre anni di indisciplina, era stata ridotta alla tranquillità; da lui, da lui solo. Il giovane insegnante di Letteratura Italiana si aggiustò la cravatta, tronfio del proprio successo.
«Non fatevi problemi a chiedere se avete qualche dubbio» disse alla classe, col tono di voce più mellifluo che potesse raggiungere.
Silenzio
Qualche ragazzo annuì debolmente, la testa che si muoveva a scatti come in un horror di serie B. In fondo alla classe, invece, qualcuno approfittò della pausa nella spiegazione per sbirciare fuori dalla finestra: le pesanti tapparelle abbassate filtravano la potente luce dei fari, impedendo ai fasci luminosi di irrompere nell’aula lacerando la dolce oscurità di quella sera invernale. Una turbolenta nuvoletta di condensa scaturiva dalla bocca dell’insegnante ogni volta che parlava.
«Voi, là in fondo, avete capito tutto?»
Le schiene dei due studenti si drizzarono, folgorate da un brivido gelido che gli trapassò la spina dorsale. «Sì» mugugnò uno dei due, che abbassò subito gli occhi sul banco.
Quello che avevo risposto con un’inverosimile timidezza era Marco, Mark per gli amici, il bullo della classe. Il prof lo aveva conosciuto per quello che realmente era al secondo mese del primo anno d’impiego in quella scuola. Quella mattina aveva lezione alle otto, e aveva programmato un’interrogazione scritta su metrica e prosodia nella poesia provenzale.
«Non è un compito impossibile, ragazzi, ha solo un discreto grado di complessità. Ma state tranquilli: se avete studiato, non avrete alcuna difficoltà a completarlo in ogni sua parte.»
Il problema era che non tutti avevano studiato, e tra questi c’era proprio Marco. Dalla cattedra, ‘il trespolo personale del professore da cui sorvegliava il corretto svolgersi del compito’, come amava definirla, il prof aveva notato all’istante il continuo oscillare dello studente in ultima fila. Un pendolo impazzito che scopiazzava dal compagno di destra e da quello di sinistra con cadenza perfetta. Allora gli aveva ritirato il compito, bollando sul registro con un 2 in bella calligrafia la sua bravata.

Il ragazzo, per così dire, non l’aveva presa bene. Al termine della giornata, alle otto di sera dopo una terrificante discussione con gli altri docenti sull’argomento della successiva assemblea studentesca, il prof era ritornato verso la sua auto nel parcheggio esterno della scuola. Un profondo solco grigiastro graffiava la sua auto per tutta la lunghezza della fiancata, partendo dal fanale posteriore per terminare in quello anteriore. Non aveva mai avuto le prove che fosse stato proprio Mark, ma lui ne era certo: era stato quel piccolo bastardo!
Vedere ora che quello spocchioso teen-ager aveva paura anche solo a fissarlo negli occhi gli restituì un’imponente scarica di adrenalina. Si diresse proprio verso di lui, soppesando ogni passo perché risultasse incredibilmente rumoroso: quella camminata doveva suonare a Mark come i rintocchi delle campane ai funerali, il sordo sbattere del martelletto del giudice sul piano di legno dopo la sentenza alla pena capitale, le cupe pulsazioni del suo cuore che di lì a poco si sarebbe spento. Ghignò dentro di sé per la serie di affascinanti similitudini con letteraria vanità. Quando fu vicino al ragazzo, quello sollevò il volto tumefatto verso di lui, le lacrime che rotolavano sulle guance barbute fino ad inondare il nastro adesivo che gli copriva la bocca.
«La sua media voti in Italiano è scandalosa. Ne è consapevole, signor Terrazza?»
Il ragazzotto annuì tremando, assecondando il prof nella speranza di rimanere in vita. Aveva visto cos’era successo ai suoi compagni che avevano contraddetto il prof, e non aveva la minima intenzione di ripetere il loro errore.
«Allora direi che potremmo provare un’interrogazione orale per raddrizzare questa situazione traballante, che ne pensa?»
La voce sibilante del professore gli si insinuava nella testa come una lama, lacerando ogni connessione nervosa che avrebbe potuto suggerirgli di rispondere educatamente ‘no’ a quella domanda.
Invece Mark annuì. Il prof gli strappò con forza il nastro adesivo e lo gettò a terra, quindi invitò Marco ad alzarsi in piedi e a dirigersi verso la lavagna. Il ragazzo si alzò dalla sedia, il petto squassato dai singhiozzi, e cominciò a camminare a piccoli passi verso la superficie color pece della lavagna.
«Dead man walking on the green mile!» strillò il professore con voce stridula. Nessuno rise, per quanto l’insegnante ritenesse esilarante quella battuta.
Il ragazzo raggiunse la parete di fondo dell’aula, quindi si volse verso il professore. Incastonata sul suo volto stava una maschera di pura malvagità, mentre sfogliava il libro di letteratura in cerca della domanda giusta da rivolgere allo studente.
«Si ricorda, vero, che due settimane fa abbiamo parlato de La Coscienza di Zeno? Certo mi saprà dire il nome dell’autore.»
«Svevo. Italo Svevo.» si affrettò a rispondere Marco.
«Esatto, bene. Se è stato attento, ricorderà anche che abbiamo approfondito la figura del narratore in questo romanzo e le caratteristiche che lo definiscono. Può parlarmene?»
Silenzio
Il tempo sembrò sospendersi. Marco era immobile, infisso nel pavimento e rigido come un morto, il volto pietrificato in un’espressione di puro terrore ed ora spaventosamente pallido: se avesse avuto una corda legata al collo, lo si sarebbe potuto dire impiccato. I suoi compagni di classe erano in religioso silenzio. Il prof li immaginava vestiti a lutto, zitti zitti di fronte al seppellimento della bara in cui giaceva il loro amico. Si alzò in piedi, sollevando il braccio e puntando il mitragliatore verso il ragazzo.
«Gradirei rispondesse, o perlomeno ammettesse esplicitamente di non conoscere la risposta.»
Freddo e glaciale, insensibile alla sofferenza che andava dipingendosi sul viso di Mark, restituendo umanità a quella statua di rassegnazione.
«Se è così...» cominciò il professore volgendo il viso, quindi spinse l’indice sul grilletto. La canna dell’arma vomitò i suoi proiettili sul corpo inerme di Marco, che rimbalzò contro la parete come un fantoccio sbatacchiato dal vento. Sulla lavagna esplosero grandi chiazze di sangue, che macchiarono la lavagna coi loro schizzi rosso carminio. Quando l’arma cominciò a picchiettare a vuoto, il prof sollevò l’indice e prese un nuovo caricatore dalla tasca.
Dall’esterno venivano grida e strilli di disperazione delle madri degli studenti.
«Irruzione, forza forza forza!»
La finestra si frantumò, una pioggia di cocci e schegge di vetro che coprì tutti i presenti nell’aula. Una granata rotolò all’interno con suono metallico, quindi il coperchietto scattò con un bip elettronico rilasciando volute di fumo nella classe. Uomini in divisa entrarono nella stanza, lunghi laser rossi che perlustravano l’intera area in cerca del pazzo che aveva preso in ostaggio la classe. Quando il fumo si diradò un poco, una sagoma nera emerse al centro dell’aula, rimasta in piedi incurante del pericolo. In mano stringeva ancora il mitra, e si stava dedicando con estrema calma alla ricarica.
«Getta quell’arma!»
Silenzio
L’uomo terminò le operazioni di ricarica, quindi fece per sollevare il mitra contro gli intrusi. Una scarica di proiettili lo falciò all’istante, scaraventandolo in terra dopo un volo di due metri. Il fumo si macchiò di rosee nuvolette di sangue, seguendo la parabola aerea delineata dal corpo in caduta. Uno dei poliziotti corse verso il soggetto colpito, per controllarne le condizioni. Tenendo puntata l’arma d’ordinanza verso il corpo sdraiato in terra, l’agente si avvicinò al professore.
Quello tossì rumorosamente, quindi balbettò qualche parola incomprensibile.
«Dite ai genitori che ho fatto del mio meglio per educare i loro figli. D’ora in poi non oseranno più ribellarsi a loro.» fu l’unica frase che l’agente capì, prima che i medici entrassero e constatassero la morte dell’insegnante e di quattro studenti.

Stefano Vignati