Matrix

Certa gente dice che la metropolitana sia un buco di culo, specialmente in estate. E specialmente in un giorno caliente come oggi. L’afflato poetico c’è, si sente. Ma non c’è verità. Si sbagliano! E non è soltanto un errore di prospettiva. La cosa è ben più grave. È gente con la fantasia piccola, incapace di vedere le somiglianze segrete che stanno sotto la superficie. E di goderne. È gente che chiama le cose con i nomi sbagliati. Quanti danni producono l’ignoranza e l’approssimazione! E poiché non vedono, non apprendono. Non sapendo, non ragionano. E accade che si innervosiscono, urlano, litigano, odiano. Oppure se ne stanno lì inerti, impigliati nei loro pensieri vuoti. Guardano nel niente e sprecano il loro tempo più prezioso. Appesi come quarti di bue macellati. Immobili. Aspettano di essere dissanguati.
È allora che diventano cosa mia!
Perché la mia forza sta nel fatto che io, invece, sto magnificamente in metropolitana, protetto e riparato come un pisello nel suo baccello. E impiego bene il mio tempo, lo metto a frutto. Studio i gesti degli altri, ascolto le loro parole. Guardo i loro corpi e immagino come sono fatti. Annuso i loro odori, annoto i loro tic, mi figuro le loro manie, i loro punti deboli. Ascolto i loro discorsi, so come entrare nei loro pensieri più segreti. Disseziono lo spirito e la materia. Questa è l’esperienza. È importante! Perché non sbaglio mai.
La metro mi ispira anche versi alati.
In metropolitana si sta bene come sotto a una sottana.
Io mi confondo. Divento un pezzo di arredo, come un camaleonte. Guardo indisturbato da sotto la sottana della mia invisibilità e mi tengo pronto. Ma io ascolto e ricordo. Ricordo e ci ragiono sopra. E imparo. Imparo quelle cose che non ci sono nei libri né si insegnano a scuola. E aspetto che arrivi il momento.
La metropolitana è come un tocca e sana.
Non è dannosa come il tram, come l’autobus o, peggio ancora, il vaporetto. In metropolitana l’odore è quello di sempre, rassicurante come l’odore di casa, acido e metallico come l’odore della preistoria. Profondo. La luce è sempre la stessa. La luce rassicurante di un sole freddo che non tramonta mai. Una luce senza tempo. E fuori del finestrino è sempre buio. Un buio senza dimensione. Tempo e spazio non esistono in metropolitana. Sono sospesi. E in questa quiete io posso guardare e riflettere, perché la concentrazione non è disturbata da sussulti o beccheggi, da sferragliamenti, da paesaggi banali e facce anonime che filano imprendibili oltre i vetri. L’attenzione è ricacciata sempre all’interno, è centripeta: come sul tavolo dell’anatomopatologo, come in una camera mortuaria.
In metropolitana ci vivo. Ci mangio a pranzo e cena. Ci dormo.
La metropolitana ti fa a fette come una katana.

È grazie a questa mia meditazione assidua che ho capito l’essenza della metropolitana, lo scopo della mia vita e il senso del mio passato. Sono la stessa cosa. L’ho scoperto per caso, una volta che ascoltavo, come sempre, i discorsi di due giovani donne - mi piace farlo, specie quando vedo che ragionano sottovoce - quei discorsi da cui di solito gli uomini sono esclusi. Ma non io, che conosco il modo di farmi invisibile, di origliare senza dare nell’occhio. Una diceva: “Ho avuto una metrorragia, la settimana scorsa, mentre ero ricoverata”. “Ma dai! E cos’hanno detto i medici?” chiede l’altra. “ Mi hanno fatto una metroscopia”. “Ah si, eh?” fa l’altra “E cos’hanno trovato?”. “Ho una metrostenosi” risponde la prima “sai cos’è...?”.
Io so cos’è. La mamma me lo ripeteva spesso: “Devi studiare e laurearti. Da grande devi fare il ginecologo! Il lavoro non ti mancherà mai. Ogni donna di questo mondo ne ha bisogno. Sarai ricco e unirai l’utile al dilettevole. Dammi retta... avrai un buon lavoro e sarai felice”.
Le ho dato retta. Ma niente da fare. Non mi sono mai laureato. Mi è sempre piaciuto il sangue, questo lo ammetto, come alle sanguisughe, zanzare e vampiri. Ma non sopportavo i baroni e gli orari fissi. Allora ho dato retta a mio padre e mi sono iscritto a filologia classica. “Fare il professore di greco e latino è un mestiere nobile e tutti ti rispetteranno” diceva papà. Ma lui era nato all’inizio del secolo scorso e credeva nel posto fisso e nei valori antichi. Non aveva previsto la recessione, la disoccupazione, né il fatto che oggi i professori nessuno se li fila neanche di striscio. Dopo altri tre anni, nulla di fatto neanche lì. Non sopportavo più di essere esaminato e giudicato.
Ecco cosa succede a dare ascolto ai genitori, quando ti costringono a essere bravo e inquadrato. Quando ti vogliono laureato, sposato e impiegato. Quando vogliono che tu sia la soluzione dei loro desideri e il rimedio delle loro paure. Non sono il tipo, io. Non hanno mai capito il mio talento. Eppure, qualcosa della mia sventura accademica mi è rimasto incollato addosso. Quel tanto che mi ha permesso di capire che dentro le parole c’è più realtà di quanta ce ne sia nel mondo là fuori. È stato così che ho dovuto trovare la mia strada. Da solo. Con rabbia.
La metropolitana è avventurosa come la carovana.
Mamma! Papà! Vorrei che mi vedeste mentre viaggio veloce e imprendibile, mente vivo giorno per giorno la mia avventura, mentre corro verso la redenzione, come un vecchio cowboy verso il suo El Dorado. Avete cercato di fermarmi ma non ce l’avete fatta. La metropolitana è il riscatto per aver ascoltato i vostri consigli ingannevoli. Etica da buoni borghesi! Altro che università! Altro che medico o professore. Altro che moglie e figli. Non mi avete capito. I viaggiatori sono la mia famiglia. La metro è la mia casa. E anche di più!
E proprio in quel momento, mentre ascoltavo i discorsi di quelle due ragazze, ho avuto l’illuminazione della parola. In quel momento il verbo ginecologico ha dischiuso la mia vocazione, e la filologia l’ha radicata nella mia coscienza. Ho scoperto il centro e il fondamento: è la metropolitana quell’utero in cui ognuno, chi più chi meno cosciente, sogna di tornare. Caldo, umido, molle, buio, misterioso. Dove non c’è fame né sete. Ma soltanto pochi se ne rendono conto.
La metropolitana è calda, sicura e accogliente come la tana.
Di più: è una poli-metro-tana, un utero moltiplicato per se stesso, infinito, attorcigliato, una tana elevata a potenza. Qui si realizza il sogno dell’eterno ritorno. Qui - in questa luce cruda e impietosa - ogni illusione sociale rivela la sua inconsistenza, la sua miseria prosaica. Ogni colpa - in quel buio profondo - si compone col rientro nella matrice primordiale.
Meglio di tutto è d’estate, quando la temperatura sale e l’umidità rende tutto più succulento. Allora la si apprezza veramente e intensamente. Quando i corpi sono frollati dal sudore, i vestiti appiccicati alla pelle, gli odori della carne esaltati. Tutti si vestono poco. Si indovinano le forme, si vedono braccia e gambe, capezzoli, caviglie, dita e unghie dei piedi. Quando l’abbigliamento è minimo, l’uomo è più leggibile. E io leggo. Guardo, ascolto, annuso. Imparo e mi sento beato.
In metropolitana ci sto come nel nirvana.
Quindi, chi dice che la metropolitana è un buco di culo è, si capisce, ignorante e insensibile. Misero! Non coglie il suo aspetto mistico. Amo la metropolitana come la vulva da cui sono uscito, come il seno che mi ha allattato, come il padre che insegna la dura legge della vita. Ecco perché ho scelto questa linea: la linea “A”, come Aleph, Alfa, la Nascita, il Principio da cui tutto deriva e in cui tutto ritorna. Non potrei farne a meno neanche se lo volessi. Sono un metromane, non c’è dubbio. E come me ce ne sono altri. Io li riconosco ed essi riconoscono me. Ci guardiamo in cagnesco, ma ci rispettiamo e manteniamo le distanze. Sappiamo quanto ci piace stare soli. La differenza tra me e la gente comune è semplice ma cruciale: gli altri si sentono in un buco di culo? Meglio! Io mi sento in una vulva, in un regno. Come un virus nella sua cellula ospite. Perché mi basta stendere la mano e ottengo ciò che voglio.
Senza metropolitana sarei una pantegana.
Se non ci fosse, non so proprio come potrei vivere. Io lo riconosco. Invece molti ingrati se ne servono perché non possono fare senza, e pagano per farlo. E poi la bestemmiano, la maledicono, la odiano, la rifuggono, specie in estate.
La metropolitana: la usano e la ricusano, coma una puttana.
Invece io la rispetto e la amo. È la fonte del mio sapere sull’umanità, alimento per il mio spirito, nutrimento per il mio organismo. Ho trovato la madre da cui tutti proveniamo. È la donna in cui tutti vorremmo rientrare, maschi e femmine, e dobbiamo sperare che stia in salute, che non si guasti mai. Io me ne preoccupo. Io voglio che stia bene. Così anch’io sto bene.
E non sono uno che sputa nel piatto dove mangia.
La metropolitana dev’essere piena come la damigiana.
Perché se una carrozza è mezza vuota non la degno d’uno sguardo. C’è poca scelta. A me piacciono le vetture stipate, quelle dove il contatto è totale, dove la pressione è esercitata da ogni punto cardinale e mi sembra di galleggiare, come nel liquido pastoso e caldo di un sacco amniotico. Mi piace sentirmi premere da quei corpi nella calca rovente, quando sono tutti arrabbiati, centrati nel proprio livore, pieni di adrenalina proprio quando io mi elevo e raggiungo la massima determinazione. Mi eccita! A questo punto realizzo il massimo distacco, come un professionista, come un killer col suo fucile di precisione. Mescolo il piacere con il dovere, nelle ore di punta. Sono quelle che mi piacciono di più: le ore di punta nel periodo più caldo dell’anno. Per me sono alta stagione.
Allora mi metto in un angolo, scompaio e divento un metroscopio. Dall’alto della mia esperienza, osservo e domino, pronto a ghermire. Invisibile sotto gli occhi di tutti. Mamma! Papà! Se foste qui... Capisco chi è nervoso o trasognato, abbottonato o sciolto, ricco o povero, lento o veloce, ha guadagnato col gratta e vinci o ha perso ai cavalli. Quando vedo chi fa al caso mio, mi ci avvicino con fatica studiata e casuale. Fingo di essere come lui. E mentre mi avvicino invisibile, gli guardo dentro. Ormai mi è sufficiente un’occhiata alla sfuggita e ne calcolo il peso e la massa adiposa, la densità muscolare e la forza, la voglia di scappare via da questo buco. Non faccio questioni di sesso. Uomo o donna non fa differenza, purché abbiano un po’ di se stessi da darmi. Meglio quando sono snervati dal caldo, macerati dal sudore, logorati dall’afa e dal pigia pigia. Il freddo irrigidisce e contrae. Il caldo, invece, apre i pori e abbassa le difese. Oggi è il giorno migliore. Ci saranno 40° e un 80% di umidità Mamma! Papà! Dovreste vedermi! Sono come mi volevate. Preciso come un chirurgo. Competente come un professore. Mi accosto risoluto e inesorabile come un vampiro. È questione di un momento.
Gli sfilo il portafoglio.
E mi squaglio.

Roberto Calogiuri