Il saio di piombo

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8

Sprofondò risucchiato da una gelida voragine viola, un abisso smisurato e silenzioso. La brusca percezione del vuoto lo ridestò di colpo, ma solo per un attimo. In quell’istante cercò d’aggrapparsi al cuscino e ormeggiare la pace e la ragione a una consapevole veglia. Tentò invano, troppo a lungo aveva resistito alla stanchezza, alla luce, ai suoni del convulso vivere e, sopraffatto, si arrese. L’abbandono violento lo scagliò nelle viscere più profonde del buio, in una vertigine dolorosa. Tutto quello che non avrebbe voluto, accadde. Precipitò fino a immergere i piedi scalzi in una fanghiglia fetida. Il sentiero ribolliva di sangue grumoso e una torma di cadaveriche figure dalle orbite cave, si stagliava tra i vapori della bruma come una selva di alberi spogli. E, simili ad alberi che distendono i rami verso il cielo a invocare il sole, tendevano le braccia scarnificate implorando misericordia. Sfolgorarono abbaglianti riflessi rossastri che gli squarciarono il cuore, e li vide. Un giovane si recideva le vene e i fiotti formavano il fiume dove madri snaturate affogavano i loro piccoli.

La corrente trascinava i corpicini nel mare. Da barconi stracolmi, turpi traghettatori scaraventavano in acqua donne, bambini, profughi inermi e sfibrati fino alla rassegnazione. Un aereo sorvolò manichini di gomma che galleggiavano. Li vide. Vide un ragazzino nudo e un vecchio osceno che ghignava mentre stracciava disegni a pastello. Lungo il fetido sentiero, una pioggia di sangue e orina inzuppò il saio fino a renderlo pesante come piombo. L’ultimo raggio cremisi divenne nero e il mantello svelò la figura del Principe.
- Mi hai seccato! Se vuoi dormire serenamente non devi più rubarmi le anime.
Si sentì afferrare un piede. L’angelo seduto sul letto gli rivolse un sorriso.
- Sveglia padre Giuseppe. E’ l’ora!
Il cappellano tornò alle carceri, tutt’intorno splendeva il sole.

Patrizio Greco