Gli avanzi del carnefice

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8

Quando Samuel riprese conoscenza percepì quell’odore inquietante: metallico, dolciasto, vagamente familiare.
Aveva la vista ancora appannata, così tentò faticosamente di ricordare cosa fosse successo e cosa fossero quelle fitte atroci che gli mordevano una gamba: stava rincasando di notte, ubriaco, quando aveva udito quello strano clangore. Come di catene...
Poi quell’ombra deforme intravista di sfuggita, prima di venir tramortito con un colpo alla nuca, piombando nel buio più totale.
Una stilettata di dolore alla coscia lo costrinse a spalancare gli occhi, ed appena le sue pupille si abituarono alla luce asettica dei neon scoprì con terrore la natura di quell’odore: sangue.
La prima cosa che vide fu il sangue.
C’era sangue dappertutto.
Rappreso sulle piastrelle bianche dei muri, gocciolava dalle seghe e dai coltelli appesi alle pareti e colava gorgogliando in una grata al centro della stanza.
Poi scorse le bacinelle d’acciaio addossate al muro, e fu scosso da un conato quando realizzò che tracimavano di interiora sfrigolanti di mosche.
Infine notò le carcasse dei cavalli: dondolavano dal soffitto con il collo trafitto dai ganci.
Era in un mattatoio.

Alzò la testa ed osservò le catene arrugginite che gli imprigionavano i polsi lacerandoglieli, poi un’altra fitta lo indusse ad abbassare lo sguardo: con raccapriccio vide il moncone emorragico e macellato.
Qualcuno gli aveva amputato la gamba.
L’orrore gli trapassò il cervello ed iniziò a dimenarsi scompostamente tentando di liberarsi.
Fu allora che si accorse di “lui”.
Lo fissava famelico, accovacciato nell’ombra.
Era un essere informe e sfigurato, privo di labbra e dalla pelle ustionata.
Un rivolo di sangue e saliva gli imbrattò le gengive mentre si portava alla bocca quel che restava di un arto umano. Affondò i denti scheggiati nel polpaccio e ne staccò un brandello con soddisfazione.
Prima di svenire, a Samuel sembrò che il mostro stesse ridendo.

Ramona Bacchi