Altro

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8

“Non puoi essere qui, sei morta. O forse è già successo...”
Osservo atterrita mia nonna attraversare la stanza e avvicinarsi al mio capezzale.
Avverto quasi lo stesso terrore provato nel vedere un uomo vestito di nero ai piedi del letto.
“E’ un dottore” si è affrettata a rassicurarmi mia madre e, dalla sua urgenza, ho compreso di essere prossima alla fine.
Ha lo stesso sorriso di quando era viva, mia nonna. Indossa una vestaglia trasparente che non le ho visto mai.
“Non temere” mi dice, “non è ancora giunta la tua ora”. Camminando lascia una scia che ha un familiare profumo di vaniglia misto a zaffate di zolfo.
“Sei proprio tu?”
Annuisce carezzandomi la testa, la sua mano consistente e calda.
“Allora perché sei qui?”
“Per farti coraggio, bambina mia” cantilena in tono soave, subito dopo inarca un sopracciglio e aggiunge in falsetto: “Hai una paura fottuta della morte”.
Fottuta è un termine che non le si addice ma, viste le circostanze, metto a tacere i sospetti.
“Ho paura sì, perché non so cosa mi attende dopo. Forse puoi aiutarmi”.

Si concede una risata chioccia. “Non spetta a me dirtelo, presto lo scoprirai”.
“Perché non me lo dici adesso? Mia nonna me lo direbbe” insisto con voce tremante. “Cosa c’è dopo?”
Si ritrae come se l’avessi schiaffeggiata in pieno viso.
Mi aggrappo alle lenzuola mentre la vedo muoversi in direzione della porta, combattuta tra il desiderio di vederla andar via e quello di trattenerla per ottenere una risposta.
Per un solo attimo mi volge le spalle lasciandomi scorgere una coda sotto il tessuto trasparente, poi mi rivolge lo sguardo un’ultima volta e sentenzia: “C’è altro”. Un occhio trabocca di antica dolcezza, l’altro è velato da un’ombra cupa e maligna.
Dei due non so quale mi faccia più paura.

Miriam Mastrovito