Il bambino che venerava la luce rossa

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8

Come definire l’immensa distesa - ora calma, ora impetuosa - che nasceva e moriva oltre il piccolo orifizio scavato nel muro? E che cosa si celava superato il confine che evaporava a orizzonte, al di là del famelico azzurro?
C’era il niente? Oppure l’eldorado? O forse... la morte.
Domande prive di risposta per l’essere che scrutava nell’ignoto.
In fondo, egli conosceva il suo mondo e tanto gli bastava. Una quotidianità fatta di cortine invalicabili, di dolori fisici, di azioni ripetitive. Tuttavia, aveva cibo, acqua e, in alto, una luce rossa che venerava ogni mattina, quando si accendeva e ruotava da una parte all’altra della stanza.
Si sentiva felice: non gli mancava nulla, perché di nulla aveva cognizione.
Un giorno, però, il suo sole fu eclissato.
Sulle prime non capì: non aveva mai udito grida e detonazioni.
Poi arrivarono loro, i demoni venuti da quell’ignoto che lo affascinava. Creature che avanzavano in modo bizzarro e che si ricoprivano di sgargianti ornamenti.

Appena abbatterono il suo muro, cercò di aggredirli con le sue unghie ricurve. Scalciò e lanciò berci simili ai latrati di un cane randagio, ma fu inutile. Lo bloccarono e lo condussero in una realtà accecante.
Fuori, carri blindati schiacciavano, sotto cingoli rugginosi, macerie e cadaveri. Scheletri di case popolari si stagliavano nel disastro, mentre fantocci, con una croce uncinata cucita su una divisa sgualcita, alzavano le braccia al cielo.
Lui non capiva nulla di tutto questo. Era schiavo di un pianeta di cui non aveva coscienza.
Fu rinchiuso in una gabbia di ferro, ripulito con gettiti d’acqua. Tutti ridevano nello scrutare le profonde cicatrici che gli deturpavano il ventre e le iridi grigio perla che teneva sgranate per il cieco terrore.
Era l’alba di un nuovo millennio, ma per lui, bambino rubato all’infanzia, non poteva che essere l’anno zero.

Matteo Mancini