La correzione

Ogni giovedì sera, dopo cena, Paolo si sedeva sulla poltrona e iniziava la correzione dei compiti in classe d'italiano. Pregustava quel momento per tutto il giorno. Sua moglie andava a dormire e lui si accomodava nel soggiorno, con la luce soffusa di una lampada a fugare il buio circostante e un bicchiere di brandy per compagnia. Insegnare era la sua passione, oltre che il suo mestiere da circa vent'anni e, benché fosse inflessibile nei suoi giudizi, i bambini della sua classe gli erano affezionati e i loro genitori lo stimavano.
Armato della sua matita rossa/blu, da buon maestro all'antica qual'era, cominciò a sfogliare il primo quaderno. Era di Patrizia, la bambina riccioluta del primo banco. Leggendo quelle righe, scritte con la schiettezza tipica dei bambini, provava tenerezza e divertimento, ma ciò non gli impediva di sottolineare gli errori: a volte con un segno rosso e a volte con un segno blu, a seconda della gravità. Quaderno dopo quaderno, Paolo continuava il suo lavoro, intercalando con un sorso di brandy. Spesso sorrideva davanti a dei comici strafalcioni, mentre in alcuni passaggi si fermava con la mano sul mento barbuto, riflettendo sulla maturità che, a volte, i bambini sanno dimostrare perfino in una semplice frase.

Il quaderno successivo, apparteneva a Teo, un grazioso bimbo minuto con i capelli nerissimi e gli occhi blu, arrivato da pochi giorni. Teo, purtroppo, non era molto socievole, parlava poco e dava spesso fastidio ai compagni. Proprio quel mattino, mentre si trovavano in cortile a giocare, si era messo a rincorrere gli altri scolari infilando loro un dito nell'orecchio. Paolo l'aveva soltanto ripreso, ma presto avrebbe voluto parlare con i suoi genitori, sia perché prendessero provvedimenti sia perché avrebbe voluto conoscerli.
Appena iniziò a leggere, si rese conto che c'era qualcosa che non andava. In quel compito c'erano poche frasi slegate tra loro, anche se scritte con una grafia accurata.
“Bisogna capire la differenza. Ho cercato dappertutto e c'è sempre lo stesso errore.”
Confuso e incuriosito allo stesso tempo, Paolo continuò a leggere, ma senza trovare il benché minimo appiglio per la comprensione di quelle righe.
“Non è normale. Con loro è meglio. Bisogna farli diventare come loro. Sarà più semplice.”
Il maestro vuotò il bicchiere d'un fiato, cercando di trovare un senso al compito di Teo.
“Non l'ho mai sentito fare un discorso” pensò. “Non con me, comunque. In cortile interagiva verbalmente con i compagni, ma quando l'ho presentato ha detto soltanto ciao, forse per timidezza. Ma questo compito... nessun bambino della sua età può scrivere qualcosa del genere. È allo stesso tempo maturo e infantile... può darsi che abbia qualche disturbo.”
Paolo continuava a riflettere, dicendosi sempre più convinto di dover parlare con i genitori del bambino. Chiuse il quaderno ed emise un gemito nel sussultare sulla poltrona.
Stava fissando gli occhi blu di Teo che ricambiavano il suo sguardo, divertiti. Stava lì, al suo fianco, come se fosse comparso dal nulla.
“E tu che ci fai qui?” disse Paolo con la voce strozzata dalla sorpresa.
Per tutta risposta, il bimbo allungò rapidamente un braccio e gli infilò un dito nell'orecchio. Il polpastrello emise un sottilissimo filamento biancastro che penetrò nel cervello. Il maestro rimase inerte, temporaneamente privo di qualsivoglia forma di pensiero. Dopo pochi minuti, Teo ritirò il braccio, prese il suo quaderno e la matita, quindi uscì, restando nel buio a osservare da una finestra.
Intanto, Paolo riprendeva pian piano contatto con la realtà. Stette alcuni secondi a guardarsi intorno, confuso e impaurito di trovarsi solo. Decise di avere sete e, con voce tremante, gridò: “Mammaaa! Mi porteresti un bicchiere d'acqua?”
Su una panchina di un parco poco distante, alla luce di un lampione, Teo completò il suo diario con la matita blu.
“Fatto. La correzione funziona. Ora si può cominciare. Avverto gli altri in orbita.”

Danilo Concas