Mary

Il paese era avvolto dalla nebbia.
Continuavo a pensare a ciò che avevo visto, i ricordi apparivano isolati, come alberi spogli che sembrano volerti ghermire, divorare, o come istantanee sfocate.
Il sangue le sgorgava dagli occhi, dagli orecchi, dal naso.
La bocca era un fiume scarlatto in piena, mentre tentava di invocare aiuto.
Ci provò finché, sopraffatta dal dolore, stremata, lasciò che la morte la portasse via.
Quell’ultimo grido, quell’invocazione, echeggia ancora per le vie di quell’antico borgo.
Tentai invano di entrare in quella casa; tremando, ascoltavo le sue urla di dolore, in quella fredda notte di novembre.
Tutti sapevano delle torture, ma nessuno ebbe mai il coraggio di mettere fine a quello scempio.
Solo io tentai, non riuscendoci.
Il ricordo di quelle scene, artigliano ancora il mio cervello, immagini raccapriccianti.
Continuo a ripetermi che non è stata colpa mia, che ho fatto il possibile, ma sento di essere responsabile per la sua morte; aveva solo sedici anni e aveva dovuto subire torture inimmaginabili, da parte di un padre, se così si può definire, che le imputava la morte della madre, deceduta dopo il parto.

Linda sapeva a cosa andava incontro, ma decise di morire per dare alla luce la sua Mary.
Lui non si rassegnava, non voleva saperne, ormai impazzito, scaricò tutta la sua pazzia sulla figlia, finché la morte non le venne in aiuto liberandola da una vita di sofferenze.
Da quella notte vivo momenti orribili, come se potessi fare ancora qualcosa.
Il mio cuore è come un castello stregato che si affaccia su un irrequieto oceano di sensazioni.
Povera piccola, la vedo ancora, nella sua camicia da note inzuppata di sangue.
Come è possibile fare certe cose ad una bambina che ha la sola “colpa” di essere venuta al mondo.
La scena che si presentò davanti ai miei occhi quando la polizia sfondò la porta, mi perseguita togliendomi il sonno e la voglia di vivere.
Lei, su quella sedia, bloccata polsi e caviglie da cinghie di cuoio e quegli uncini conficcati nel suo corpo da bambina, l’espressione di terrore e sofferenza stampata sul volto.
Lui, accanto alla piccola, con espressione trionfante e il rasoio in mano, infieriva sulla bambina ormai senza vita.
Un poliziotto non poté resistere e gli scaricò in corpo un intero caricatore, facendolo crollare al suolo.
Da lì iniziarono i miei incubi.
Ma stanotte è successo qualcosa mentre, tornando a casa, passavo davanti la casa degli orrori.
Una bambina mi venne incontro, il suo volto così familiare da farmi venire un nodo in gola, una stretta allo stomaco, finché non realizzai: era Mary.
Un brivido mi corse lungo la schiena, mentre entrambi eravamo lì fermi a fissarci, poi le sue uniche parole - grazie per averci provato.
Rimasi di ghiaccio, mentre lei si allontanava, attraversando la porta chiusa di quella che fu la sua prigione.
Ora so che nella morte, ha trovato la felicità che in vita le è stata negata.
E anche le mie notti, sono di nuovo tranquille.

Francesco Gallo