Malore

Le mani congiunte, frate Guglielmo era in ginocchio davanti al crocifisso, nella sua piccola cella del monastero francescano. Recitava compieta con gran devozione, quando avvertì un acuto dolore al petto (come se fosse trafitto da una lama), unito a un senso di peso e di bruciore.
La fronte imperlata di sudore e il respiro affannoso, si accasciò lentamente a terra.
Cosciente, ma in preda a una viva agitazione, sentì il dolore trasmettersi alla schiena, all’addome e, soprattutto, al braccio sinistro.
- Il cuore - disse tra sé Guglielmo. - Il cuore mi tradisce... Dio mio, abbi misericordia di me, tuo umile servo!
Bisognava al più presto chiedere aiuto, se non voleva morire come un cane. Si accinse a farlo ma, benché si sforzasse, dalla sua gola non uscirono grida né parole, soltanto deboli mugugni. Era come se, a un tratto, egli fosse diventato muto.
Pur sapendo che in quella situazione la cosa migliore era star fermi e distesi, Guglielmo provò ad alzarsi. Voleva uscire a qualsiasi costo dalla sua cella perché, angusta com’era, vi soffocava. Sentiva il bisogno di aria, di respirare a pieni polmoni in spazi più grandi.
Poté con fatica mettersi sulle ginocchia, e in quella posizione si trascinò fino alla porta.
L’aprì.
La sorpresa fu immensa - come anche la gioia - quando vide fuori dell’uscio l’alta figura di un confratello, immobile, girato di spalle, il cappuccio del saio calzato sulla testa.
Questa volta Guglielmo riuscì, con sforzo indicibile, a pronunciare alcune parole:
- In nome di Dio... fratello... aiutami... Mi sento morire.

Seguì un momento di silenzio, poi:
- Io non sono un fratello - rispose una voce virile, - ma una sorella.
- Una... sorella?... - balbettò, incredulo, Guglielmo. - Non... capisco...
La figura si volse. Si levò lentamente il cappuccio, sotto cui apparve un teschio scarnificato, bianco, dalle orbite vuote e dal ghigno crudele.
- Io sono la Morte - disse in tono solenne, - sorella di qualsiasi uomo, come afferma Francesco d’Assisi, alla cui regola hai conformato la tua vita - Tacque un istante poi, avanzando di un passo, aggiunse: - Sono qui per te, frate Guglielmo. Il momento di separarti dal mondo è arrivato. Non avere paura. Benché io possa apparire raccapricciante e spietata, vengo per condurti in un mondo migliore, dove cure e bisogni materiali sono annullati dal desiderio della Sublime Contemplazione. Seguimi, dunque. Senza esitare.
Di colpo Guglielmo provò un gran smarrimento, come un bambino di fronte a qualcosa di nuovo, di incomprensibile.
- No... io... perché?... - balbettò debolmente.
Un senso di terrore invase ogni fibra del suo essere. Scosse la testa e, boccheggiando, stese il braccio a respingere la Morte che, rigida come una statua, stava impassibile dinanzi a lui.
Pur essendo devoto a Francesco d’Assisi, pur venerandone i santi principi, egli sentì in quel momento di non possedere la forza né, tanto meno, l’altezza della sua fede.
- No!... Ti scongiuro!... Per pietà! - gridò Guglielmo disperatamente, con tutto il fiato che aveva.
Si portò, tremante, la mano alla gola e, nello stesso momento, spalancò la bocca, come se ormai gli fosse impossibile il respiro. Infine, strabuzzati gli occhi, si accasciò nuovamente a terra. Non si mosse mai più. Si mosse invece la sua anima, in compagnia della Morte, per un cammino sconosciuto.

Paolo Secondini