Bambina di pezza

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

Il luogo era buio. Una densa oscurità pervadeva il visibile e l’invisibile.
La cupa assenza di suoni era interrotta da improvvisi e brevi momenti intrisi di rumori raggelanti: grugniti disumani, catene striscianti, lame sfreganti, strazianti urla di esseri inesistenti e... il pianto... o meglio, il timido singhiozzo di una creatura sola, una chioma dorata fonte dell’unica luce, il solo cuore pulsante in quella tenebra eterna, le poche lacrime, umidi specchi dell’anima alla ricerca di un lontano mare di speranza: una bambina china, appoggiata su deboli ginocchia, con la schiena interamente ricoperta da filamenti biondi, è impaurita e tanto triste. È anche tanto sola perché mamma e papà non sono lì con lei, perché l’amabile cucciolo Lolli non le è accucciato accanto a godere delle sue carezze e soprattutto... perché la cattiva signora gli ha strappato dalle braccia la cara compagna di giochi dai morbidi riccioli mori e dal viso sempre solare e sorridente. Felicia, questo era il nome della bambina, aveva paura che quella brutta arpia facesse del male alla sua Clea, il nome della sua bambolina.

Nemmeno voleva pensare a quelle luride e rugose dita che cingevano l’esile corpicino di pezza rovinandogli il bel vestito lungo di cotone rosso, che con tanta cura le aveva cucito con l’aiuto della madre... Oh mamma... se tu fossi qui con me...
D’improvviso una timida luce si accese: appesa ad un filo consunto, una lampadina sudicia con attorcigliato un fil di ferro che faceva da macabro cappio alla piccola Clea a cui era stata lacerata una gamba. Filamenti disordinati spuntavano dal busto di pezza.
Felicia urlò portando le mani alla nuca mentre la lampadina, sfrigolando, subito si spense, non prima che Felicia notasse un’ombra fuggevole muoversele attorno.
Un dolore innominabile le attraversò la gamba destra e un urlo innocente inondò la stanza buia.

Simone Gabbanelli