Ventuno

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

Gli artigli stringono il dito. Un toc secco e un urlo disperato rimbalza sotto la tettoia del vecchio magazzino, supera la campagna deserta, e cerca di raggiungere l’autostrada, dove i lampi dei fari lacerano il buio della notte.
Diciannove!!
L’umano si divincola, ma è legato ben stretto alla cancellata e i suoi sforzi producono solo violente vibrazioni della nera struttura di ferro che circonda il magazzino abbandonato.
Non fa che strillare ogni dito che gli strappo.
Mi occorre sempre più energia mentale per mantenerlo in vita.
Questa notte non avevo l’intenzione di combinare nulla. Ho sentito delle grida, mi sono avvicinato e ho visto l’umano mentre violentava una sua simile. Non sono riuscito a dominare l’istinto.
La femmina è corsa via impazzita, non ha retto alla mia vista.
Sto terminando l’opera. Mi avvicino a occhi terrorizzati.
Piange, implora pietà. Lacrime si uniscono al lago di sangue che si è formato alla base del cancello.

Ne rimane solo una poi ho tagliato tutte e venti le dita, di mani e piedi.
- Ho letto da qualche parte che un umano quando muore perde ventuno grammi di peso. Mio caro stronzo, stai per perdere ventuno cosucce. - Mi metto in ginocchio, con gli artigli abbraccio l’alluce sinistro, il superstite. L’umano si agita forsennatamente, dai moncherini una pioggia di gocce di sangue mi investe.
Un altro colpo secco. L’ennesimo urlo riempie la notte. L’ ultimo dito rotola insieme agli altri. Sembrano venti vermi annegati nel sangue.
L’energia mentale che uso per non farlo morire mi sta indebolendo. Ma ho quasi finito.
- Siamo a venti, caro mio. Cosa sarà il ventunesimo? - Forse capisce e forse no, mentre gli abbasso i pantaloni.

Andrea Cavallini