Un destino scritto

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

Le lettere scorrevano sul foglio di carta bianca come flusso di coscienza. Avrebbe voluto una tregua, ma gli era difficile arrestare quell'impulso mai manifestatosi prima d'allora. Nella foga di giovane artista gli pareva il suo parto più sublime, le parole si susseguivano, si rincorrevano, sgorgavano dai suoi pensieri con un costo singolare per donare loro l'ordine migliore. Gli pareva di vederle: immagini terrifiche, mostri giunti dall'oblio, echi cui cercava di dare forma. Ne sentiva gli aliti, i sussurri, gli spasimi, ne percepiva gli odori, acri, pungenti, tremendi, di tenebre e marcescenza. Ecco l'ennesimo tentativo di dimostrare qualcosa o, forse, era giunta l'ispirazione dei grandi, quella voce originaria che trae forza dai primordi, si veste delle immagini antiche dei mondi terreni e sussurra l'arte poetica di disporre secondo l'ordine umano un po' di caos.

Scisso dal dubbio, tra il desiderio di compiere, e una insistente voce interiore, la sua mano pareva avesse preso vita propria. Le pagine scivolavano via come le sue forze e iniziava a temere, quasi sperando che la magia si interrompesse. Ma il fascino della sua creatura risplendeva d'orribile luce nei suoi occhi e mentre avanzava, progrediva nello stile e nella forma. Le pagine stesse parevano brillare di una luce tremenda.
Alla volontà di un bicchiere d'acqua Andrea, però, trovò ad attenderlo il terrore. La penna lo teneva lì, incollato al foglio, gli impediva ogni altro movimento. Un singulto e strabuzzò gli occhi quando guardando il suo lavoro si accorse di non comprenderne più il significato, quelle parole non gli appartenevano più e si sentì inghiottire.
Gli sfinteri si lasciarono andare prima dell'ultimo respiro. Non sentiva il braccio ormai da tempo. Solo fame, fame e sete. Un rantolo e la penna scivolò dalla sua mano, ma appena in tempo perché Andrea potesse terminare di scrivere la sua fine.

Davide Milo