Mamma mia

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

“Mamma ti prego ho freddo. Ho anche tanta fame” implorava Francesco.
Mara non disse nulla.
“Mamma! Dai ti prego vieni giù a slegarmi” insistette suo figlio urlando dalla taverna “Che ne dici? Mangio qualche cosa e poi mi metto a fare i compiti, va bene mamma?”
Mara non avrebbe mai sottoposto Francesco ad esorcismi le parevano torture inutili.
Non ricevendo risposta l’essere si lasciò andare a turpiloqui in lingue che Mara non aveva mai udito.
Diede un bacio ad una foto che li ritraeva felici in riva al lago, bagnandola con delle lacrime di amore, tristezza, rabbia ed odio.
Girò la chiave nel chiavistello della porta che portava in taverna e cominciò a scendere lentamente i primi gradini senza accendere la luce e tenendo ben stretta nella mano sinistra una torcia ed un fucile nella destra.

“Mamma sei tu?” chiese l’essere\figlio “Mamma queste catene mi fanno molto male. Me le levi? Cosi posso uscire a giocare un po’!”
Sempre in silenzio Mara giunse alla fine degli scalini, intravedeva nell’oscurità la piccola e gracile sagoma di suo figlio seduto ed immobilizzato su di una sedia. Dopo l’ennesima preghiera, questa volta rivolgendosi al Signore affinché la perdonasse, Mara caricò il fucile ed accese la torcia.
“Che vuoi fare col fucile Mamma? Non fare cazzate. Non puoi ammazzare tuo figlio.” Esclamò l’essere. Mara avanzò senza badare a nulla, senza badare al sangue che grondava dalla testa di suo figlio a forza di sbatterla contro il muro, senza badare ai pantaloni bagnati e sporchi di escrementi e soprattutto senza badare alla bocca di Francesco, che sputava frasi incomprensibili, con voci differenti, rigurgitando liquido giallastro.
Mara, ormai prossima a suo figlio, spense la torcia e continuando a pregare il Signore per il suo perdono gli esplose tre colpi in viso, liberandolo per sempre dal Maligno.

Stefano Pinto