Puffragole

Non potevo vederlo, ma sapevo che era in agguato lì sotto... Avvertivo distintamente la flebile cadenza del suo respiro, potevo addirittura immaginare quei piccoli polmoni che si chiudevano ed aprivano secondo un ritmo alterato ed accelerato, così diverso da quello che Madre Natura aveva progettato per noi mammiferi, prediletti figli della vecchia stronza. Certamente mi stava ancora scrutando... era troppo furbo e maligno per essersi dimenticato di me. Quelli come lui non dimenticano mai niente, sono capaci di aprirti la gola da un orecchio all’altro per uno screzio vecchio di anni, aspettano pazientemente il momento buono... quello in cui sei più debole, indifeso e.... zàc, colpiscono con quelle loro maledette manine, facendoti rimpiangere di averli trovati così buffi e carini la prima volta, facendoti maledire il momento stesso in cui hai allargato il tuo ebete sorriso per offrirgli una di quelle succose e membranose fragole di cui sono così ghiotti. Se l’avessi saputo prima ovviamente non sarei a questo punto, non avrei quei piccoli, tondeggianti occhi che mi fissano ironicamente da sotto l’armadio e, certamente, non avrei tanto timore per la mia vita. L’avessi spappolato quando ne avevo la possibilità! Sarebbe bastato così poco... una bella scarpata su quell’abominio contro natura e tutto sarebbe finito in una gelatinosa quanto vomitevole poltiglia. Stupida che sono, stupida e ingenua.
Ora è tardi, indubbiamente troppo tardi... sa già tutto, sa cosa vorrei fargli e sa anche che ho troppa paura di lui per poterci anche solo provare, ma non per questo è meno prudente, è abituato a queste situazioni evidentemente e sa quando è il caso di aspettare il momento giusto... bastardo!

Questa mattina mi ha lasciato il primo segno, ho trovato la mia Kitty crudelmente impiccata ad una trave, penzolava tetramente nel buio polveroso della cantina, con la piccola lingua che sporgeva violacea su quella boccuccia che avevo tanto amato. Non le ha risparmiato nulla, non gli importava fosse solo una piccola micetta e devo dire che ha dato davvero il peggio di sé stavolta. Piangevo quando ho tagliato il filo da pesca che le stringeva la gola e piango ancora adesso se penso a quello che LUI le ha fatto. Non è il caso mi soffermi sui particolari, ma sappiate solo che deve aver sofferto più di quanto è sopportabile per una creatura così innocente e indifesa. Credo ne abbia mangiato qualche pezzo, c’erano tracce di morsi sul pelo arruffato e non mi stupirei se quella bestemmia in miniatura l’avesse veramente fatto... non ha morale quella cosa, non ha alcuno scrupolo ed è quanto di più pericoloso l’inferno abbia mai vomitato. Avrei dovuto procurarmi qualche arma, qualcosa per esser certa che quella mente diabolica e perversa non avrebbe più appestato questo mondo, ma a che servirebbe? Sappiamo ambedue che il più furbo è lui, che ha il coltello dalla parte del manico e che, prima o poi, l’avrà vinta. Ho seppellito Kitty nel giardino, sotto al grande faggio su cui amava arrampicarsi e trovare rifugio; avrei voluto qualcuno per dire qualche parola di conforto, una specie di prete degli animali che mi dicesse che la sua anima ora graffia e morde i sandali di San Pietro, o qualcosa del genere, dopotutto ci ero davvero affezionata, invece niente, solo il vento che sgomitava sgarbato tra i rami... e quella sottile risata, così cattiva e folle da far rabbrividire fino al midollo. Ho giurato su quel piccolo tumulo che non mi avrà così facilmente e intendo mantenere la promessa, o non potrò riposare in pace nemmeno quando mi infileranno nella mia fredda, fredda tomba.
Ora me ne sto qui, a fissare l’impenetrabile buio sotto l’armadio, cercando di infilare lo sguardo tra le sue pieghe per andare ad incontrare quel corpo assurdo e deforme, per fissarmelo bene in mente prima della battaglia finale. Voglio immaginarmelo ben chiaro mentre se ne sta in attesa tra le ragnatele e la polvere... quella sua pelle repellente e squamosa di un nauseabondo blu iridescente, il cappello floscio e macchiato di ogni genere di disgustosa sostanza, le piccole mani, così pericolose a dispetto della loro ridicola dimensione... e gli occhi, soprattutto quegli occhi inespressivi e tondi come quelli di un pesce. Come ho fatto a non rendermi conto della blasfemia di quella creatura? Come ho fatto ad accoglierlo in casa mia, sotto al mio stesso tetto? È ora di pagare le conseguenze dei miei sbagli, di redimere la mia anima davanti a Dio e alla natura e di strozzare quel piccolo bastardo con una delle repellenti fragole che tanto adora. Eccolo... penso sia pronto ora, l’ho visto per un secondo, uno solo... sa sfruttare bene i suoi buchi da topo la carogna... un rasoio! Dove cazzo ha preso quel rasoio? Stronzo! Puffo di merda! Cerca la gola, è veloce...
BASTARDO!

Daniele Manfredi

Daniele Manfredi, classe 1979, nasce e vive nella piccola Reggio Emilia, dove tira a campare lavorando come restauratore nel settore antiquario. Cresciuto divorando orrori lovecraftiani si è poi interessato al tema senza tempo dell'estraniazione tanto caro al vecchio Howard, sfornando qua e là racconti brevi per piccole riviste e magazine.