Cambio d'abito

Percorro il lungo corridoio a passo svelto, come faccio ogni giorno da un anno a questa parte. Ogni giorno sempre più oppressivo e logorante. Nella mia breve carriera di medico ho visto vita e morte alternarsi senza soluzione di continuità, gioie e dolori esibirsi in un teatro a volte tenero, molto spesso crudele. Ora solamente la morte danza fiera e impietosa su un mondo cambiato da un qualcosa tanto ignoto quanto terribile e inatteso.
- Buongiorno dottore... come va?
- Buongiorno Clelia. Bene grazie... oggi in forma?
- Un po’ così. È insopportabile non poter camminare... stare accanto alla finestra... vivere.
Ascolto la voce, falsa ovviamente, ma ancora capace di trasmettere tanta angoscia e tanta, tantissima pietà. Sistemo il collettore d’onda e scarico i dati clinici sul palmare.
- Un giorno ci faremmo una lunga passeggiata insieme, promesso.
- Sì... un giorno...
Continuo il mio giro trattenendo rabbia e lacrime, bramoso di arrivare al più presto alla sera e cercare conforto nell’abbraccio di un sonno artificiale, ma amico.
Iniziò circa due anni fa, all’improvviso. Prima fu un caso isolato e scientificamente curioso. Non capita tutti i giorni di vedere un essere umano tramutarsi in una pozza liquida formata da quelli che erano i suoi tessuti, letteralmente liquefatto. Ma non all’istante e non completamente.

Il fenomeno comprendeva inizialmente dei casi isolati distribuiti in maniera casuale un po’ in tutto il globo, quindici in tutto. Chi stava vicino ai colpiti riferiva che si lamentavano di un non meglio definito malessere, come di un formicolio in tutto il corpo, per poi cominciare una lenta ma inesorabile “Disgregazione Colliquativa” (D.C., come venne chiamata in seguito) che nel giro di tre o quattro ore portava alla scomparsa dell’individuo. Ma non completamente, come ho detto prima. In mezzo ai liquami appartenuti all’individuo, restava soltanto l’apparato nervoso al completo: cervello, midollo spinale e tutti i nervi periferici restavano intatti in un orrendo groviglio.
L’interesse della comunità scientifica si spostò lentamente dalle varie attività allo studio del nuovo fenomeno patologico, sopratutto dopo l’ondata successiva di eventi. Il numero dei casi salì infatti a diciassette milioni in appena una settimana e in tutto il mondo fu il caos completo, in quanto tutta l’attenzione delle autorità sanitarie era concentrata nella gestione della nuova epidemia se così si poteva chiamare. I primi studi esclusero la presenza di qualche nuovo tipo di virus, così come quella di qualsiasi agente patogeno conosciuto e il decorso della malattia, come già detto, era talmente rapido da non lasciare alcun margine di comprensione. Fu allora che i grandi colossi farmaceutici e tutte le istituzioni scientifiche militari e non, tirarono fuori il meglio dei loro arsenali, roba da pura fantascienza. La prima proposta d’azione concreta arrivò proprio da un gruppo si scienziati di una grossa compagnia farmaceutica: far avvenire il decorso patologico in una vasca di contenimento embrionale, in modo tale che durante il processo e all’avvenuta liquefazione, l’apparato cerebro-spinale restasse in sospensione in un ricco plasma sintetico. Lo scopo era quello di utilizzare un’interfaccia per verificare la presenza o meno delle funzioni mentali e nervose, e magari riuscire a comunicare con la “coscienza” residua.
I primi risultati furono incoraggianti, tramite sofisticatissimi computer infatti si potevano utilizzare le terminazioni nervose come vere e proprie porte per la trasduzione dei segnali. Restava insomma qualcosa di umano, l’essenza stessa dell’individuo distrutto. Intanto i casi di D.C. salirono a 800 milioni, senza nessun nesso con razza, sesso ed età degli individui o con la posizione geografica e con ancora tutta l’incertezza di cosa realmente fosse il fenomeno. Qualcuno parlò di un virus rapido e autodistruttivo al termine del decorso, ma ormai si monitoravano quanti più pazienti possibile dal manifestarsi dei primi sintomi fino al contenimento nelle vasche e nessuna traccia, perfino della più piccola presenza di virus, venne trovata. Altri fecero riferimento a radiazioni cosmiche, alterazioni geniche spontanee (ma perché solo l’uomo?), misteriose entità aliene (ma dove stavano?) e così via fino ai deliri di massa che chiamavano in causa l’intervento di demoni o della giustizia divina, le solite farneticazioni di chi vede la fine avvicinarsi sempre più in fretta. Un anno dopo l’evento iniziale il numero di vittime della D.C. era di 2 miliardi e mezzo di persone, ed intanto vennero edificate delle strutture di contenimento per centinaia di migliaia di Entità Cerebrali, così venivano chiamati i resti delle vittime, in tutto il mondo ma ormai erano al completo, benché altre fossero in continua costruzione. Nel frattempo le ricerche scientifiche al loro interno non conoscevano sosta e si era arrivati a recuperare per intero tutto l’apparato sensorio ed a collegarlo ad un elaboratore che faceva le veci di tutti i sensi e dava voce ai pensieri di ciascuna Entità Cerebrale. Ciascun essere umano si chiedeva quando sarebbe arrivato il suo turno e poteva capitare, ad esempio, che una famiglia riunita per la cena vedesse uno dei suoi componenti assumere espressioni di fastidio e massaggiarsi il viso o le braccia, era la fase iniziale della D.C. e da quel momento in poi la consapevolezza di un tragico abbandono calava sui presenti come un velo funereo; la corsa al più vicino ospedale, poi al centro di contenimento all’esterno del quale erano ammassati migliaia di “pazienti” in attesa di essere ammessi... o di scomparire come in una terrificante muta.
In quel periodo venni distaccato dalla clinica nella quale lavoravo a questa unità di contenimento, immergendomi per la prima volta nel vero dramma che la D.C. portava con sè: sopravvivere ad essa. Interminabili file di vasche alte 2 metri piene di plasma sintetico, all’interno delle quali fluttuava un intero apparato nervoso che ricalcava solo vagamente la figura umana; l’apparato era collegato tramite dei sottilissimi cavi ad un computer, il quale raccoglieva tutti i debolissimi segnali elettrici generati dall’Entità e li trasformava in suoni e dati clinici e viceversa raccoglieva immagini, suoni, dati ambientali e li inviava all’Entità, stabilendo in questo modo una preziosissima interazione che permetteva la creazione di una sorta di quadro diagnostico. Si seppe così che la D.C. era pressoché indolore e che la vittima restava perfettamente cosciente durante il processo, con l’orrore finale di ritrovarsi immersi e immobili in un liquido, privi di corpo. Ma una buona dose d’orrore, e io ne sapevo qualcosa, era riservata anche a chi doveva interagire con le Entità; ogni giorno “visitare” i pazienti, scaricare i dati e nel frattempo dialogare con loro. A dir poco deprimente.
A quel punto, 3 miliardi e mezzo di persone erano già state colpite; un olocausto senza precedenti che lasciava il mondo nel caos con tutte le nazioni sotto perenne legge marziale, sebbene la preoccupazione maggiore che ciascun essere umano aveva era quella di stare in attesa della propria morte, con la conseguenza che a nessuno importava di causare disordini.
Poi, improvvisamente, così com’era apparso, il fenomeno cessò di manifestarsi; non un lento diradarsi ma una vera e propria battuta d’arresto. Dopo un primo periodo di confusione e tensione generali, pian piano ci si abituò al fatto che la D.C. fosse scomparsa e il sollievo fu tale che nessuno si chiese quale fosse stata la causa; al contrario ciascun essere umano cercò di ricostruire attorno a sé un mondo normale e sopratutto recuperare la normalità interiore ormai perduta; nessuno eccetto noi scienziati, chiaramente. Con in mano le sempre esigue informazioni faticosamente raccolte, cercammo di raddoppiare i nostri sforzi nella comprensione del fenomeno, soprattutto servendoci delle descrizioni forniteci dalle Entità (quanta ripugnanza in questo termine) sui loro ultimi istanti vissuti come esseri umani. Sono passati sei mesi dal manifestarsi dell’ultimo caso di D.C. e ancora nessuno ha scoperto qualcosa a cui appigliarsi per poter trovare una soluzione; fino a questo tardo pomeriggio, proprio un quarto d’ora fa, quando è arrivato un bollettino ufficiale da un’unità di contenimento giapponese che mostra l’attivazione di una piccolissima e finora sconosciuta area cerebrale; saranno una decina di cellule in tutto, ma se si riesce a correlare questa anomalia con il fenomeno... se si riesce a scoprire cosa ha attivato queste cellule... forse...; prendo il resoconto e lo porto nel mio ufficio, lo voglio leggere con la massima attenzione e poi mettermi subito al lavoro.
Accendo la lampada sulla scrivania, fuori è già buio. Un goccio di liquore e comincio a leggere... sono così eccitato che comincio a sentire un leggero formicolio su tutto il corpo.

Danilo Concas