Il mostro

Nessuno sapeva in paese a che anno datasse la casa in cima alla collina. Tutti - persino i più vecchi degli abitanti - ricordavano averla veduta, bambini, nello stato di adesso: abbandono e decrepitezza. Di solito se ne parlava come qualcosa di un’epoca trascorsa. Qualcuno giurava che avesse cent’anni o forse di più, o che fosse esistita da sempre, eretta in secoli antichi e ristrutturata nel tempo.
Congetture, naturalmente!
Neppure era noto a chi fosse in passato appartenuta. Si conosceva soltanto nome e cognome dell’ultimo inquilino che un giorno era sparito all’improvviso, come se avesse deciso di trasferirsi in altro luogo, senza però che qualcuno lo avesse saputo né visto traslocare.
Voci di mistero presero a circolare sulla casa in cima alla collina: voci insistenti che fosse stregata, maledetta, infestata da fantasmi... fantasmi di quanti l’avevano abitata ed erano scomparsi, uccisi da un orribile mostro.
Ma chi in paese poteva giurare che le cose stessero proprio così?
Nessuno!
Nessuno del resto era salito sulla collina - per paura di maledizioni, incantesimi o altro di peggio - ad appurare che quanto si diceva fosse vero.
Un fatto però era certo: sebbene abbandonata, la casa mostrava periodicamente risvegli di vita, come il fumo che molti vedevano uscire dal nero comignolo. Probabilmente qualche barbone o viandante, trovandovi un grato rifugio in giorni di pioggia o di freddo, accendeva un bel fuoco per asciugarsi, riscaldarsi o semplicemente cucinarsi qualcosa. O forse - altri giuravano - era il fuoco che ivi giungeva direttamente, per condotti segreti, dalle viscere fonde dell’Inferno.
Non poteva essere diversamente, dal momento che la comparsa del fumo era spesso accompagnata da strani rumori indecifrabili, ma talmente forti da essere uditi in paese: prova sicura dell’ira di demoni maligni.

Fu deciso un giorno di svelare il mistero.
Armati fino ai denti - coltelli, pistole, fucili - molti degli abitanti del paese giunsero in cima alla collina e, entrati di forza nella casa... restarono immobili, muti, gli occhi sbarrati e le bocche dischiuse dall’orrore.
Un mostro - come si sospettava - aveva colpito di nuovo uccidendo un ragazzo il cui corpo, in posa del tutto innaturale, giaceva per terra fra polvere, sporco e cianfrusaglie.
Chi fosse la vittima non si sapeva: nessuno l’aveva mai vista. Una cosa era certa: non era del paese.
- Guardate! - fece uno additando qualcosa sul povero corpo.
Tutti volsero gli occhi e una esclamazione di stupore sfuggì dalle bocche.
Una zanna del mostro - cilindro e stantuffo di plastica e ago di metallo - era rimasta conficcata nel braccio del ragazzo.

Paolo Secondini