Zic zac

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Le tre vecchiette filano ininterrottamente dividendosi i compiti: una fila la lana, l’altra la distribuisce e l’ultima recide il filo, non un millimetro prima né uno dopo il dovuto, niente sconti, niente regali, con una precisione come quella usata da un costruttore di navi in bottiglia o da un artificiere che nelle proprie mani custodisce la vita di tutti, decide il loro sopravvivere o il non lasciare più la minima traccia in questo mondo che accoglie il moto di ognuno che impiega la propria giornata girando e seguendo un percorso che, se è fortunato, lo riporterà a casa o, se non lo è, lo porterà verso il capolinea, in maniera più o meno dolorosa, infatti c’è l’uomo che va tranquillo sapendo esattamente quello che sta facendo, e quello come Lui che corre freneticamente, non si sa se alla ricerca di qualcosa o piuttosto, sfuggendo da qualcosa, come dal mare che può inghiottirti, dal traffico che può investirti,

dall’amore che può spezzarti il cuore e dalla follia che può renderti incauto, e da altri mille pericoli, anche quelli che di solito non si considerano e che Lui considera invece tutti, dal primo all’ultimo, dal rischio dello scivolare sotto la doccia al precipitare con l’ascensore, dal soffocare con una nocciolina all’avvelenarsi col latte scaduto, evita tutto ciò accuratamente e anche oggi, dopo aver corso, fatto palestra, aver mangiato cibi sani per tenersi in forma, è tornato a casa essendo riuscito ad evitare anche il pur minimo pericolo e si addormenta per riprendere le forze per ricominciare domani nuovamente la sua corsa, che in realtà non riprenderà mai perché è stato deciso diversamente: il suo cuore nel sonno si è fermato, la terza vecchietta, Atropo, ha impugnato le forbici e reciso il filo.
Zic. Cosa. Puoi. Contro. Il. Destino? Zac.

Anna Maria Iodice