La spiaggia delle rocce nere

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Mentre le labbra del ragazzo solleticavano la sua pelle dorata, lei esclamò «Strani quei piccoli scogli. Sembrano persone accovacciate sulla riva.»
Davanti a loro, il sole si rifletteva nell’acqua, batteva la rena fine. Alle spalle, una parete ripida di nera roccia sormontava la lingua di sabbia nascosta dagli scogli dove si erano appartati.
Lui sollevò la testa. «Qui molte navi sono naufragate. Ancora si trovano anfore, monete e statuette nei fondali. C’è un’antica leggenda su alcuni naufraghi che provarono a scalare la parete rocciosa. Ma nessuno riuscì. Così fame, sete e disperazione li trasformarono in uomini di pietra, in eterna attesa dei soccorsi.»
Lei lo attirò a sé, divenuta indifferente al discorso. Lui le fu sopra, baciandola dappertutto a occhi chiusi.
Accadde all’improvviso. Un colpo tremendo alla schiena gli mozzò il fiato. Svenne.
Le urla lo risvegliarono quasi subito. Non poteva muovere le gambe. Si voltò verso la parete di roccia, e quella voce che conosceva bene.

Era aggrappata nuda alla roccia, le braccia contratte, i seni sodi premuti contro la pietra. Era riuscita a salire circa tre metri, ma non c’erano più appigli per le mani. Lentamente sdrucciolò giù, graffiandosi il ventre e il viso con le asperità della parete.
Le creature attesero che lei cadesse. Quelle nere sagome, solo vagamente umane, pietrose, coperte di alghe e denti di cane, la afferrarono con braccia forti e spietate. Le si strinsero attorno, in cerchio, con le mani deformi che frugavano tra le gambe, la pietra tagliente che escoriava la pelle. Urlava, mentre le slogavano le braccia, penetrandola implacabilmente.
Lui era impotente, steso sulla sabbia e paralizzato, la vista annebbiata.
L’ultima immagine impressa negli occhi morenti fu il braccio abbronzato della sua ragazza, coperto di sangue, che ricadeva inerte tra i corpi pietrosi e deformi.

Vincenzo Barone Lumaga