Teatro di sangue

1.
Era una sera fredda e nebbiosa, tardo autunno milanese fumoso e malinconico di fine anni novanta, quando io e il mio amico Pedro diventammo due ventenni assassini.

 

2.
La vittima una zingarella poco più giovane di noi. Eravamo le uniche tre persone sul tram verso la fine della corsa, in fondo al solito triste vialone di periferia. Quando lei è scesa l’abbiamo seguita, così, senza un’idea precisa in testa. O forse sì. Era sporca, come tutte le zingare, ma carina. L’abbiamo trascinata in un cortile dismesso, qualcosa che anni prima doveva essere il deposito di una ditta che produceva laminati. Zittita, stuprata e soffocata.

 

3.
Comprate due birre in bottiglia ad un bar poco lontano. Chissà quando troveranno il cadavere. Però le canne e l’alcol assunti durante quella giornata allo sbando fecero scattare in noi una certa paranoia. Io mi sentivo ancora il cazzo umido, incastrato tra la pelle e i boxer, tutto appiccicato insieme. Quando passò una gazzella dei carabinieri tutto quanto là sotto mi divenne freddo e viscido come gelatina. Eravamo seduti su una panchina, un parchetto desolato. Faceva un freddo cane. Le sirene blu scomparvero, ma non ero tranquillo. Era la prima volta che uccidevo qualcuno, e così Pedro.
-Non sono tranquillo- gli dissi.
-Nemmeno io.- Si guardò intorno. -Andiamo là.-
Dall’altra parte della piazzetta, tra un supermercato con le saracinesche abbassate e un gruppo di tre o quattro negozi chiusi fino all’angolo della strada, c’era un edificio che sembrava una chiesa sconsacrata. Aveva un che di cadente e malsano, proprio come Pedro e me.

4.
Non si trattava di una chiesa sconsacrata ma di un vecchio cinema, forse un teatro. Entrare non fu difficile. L’atrio era buio e puzzava di merda e piscia. Feci luce con l’accendino. A terra stracci, bottiglie, materassi luridi e vetri rotti. Evidentemente un asilo di tossici e barboni. Però l’impressione era che da tanto nessuno ci entrasse più.
Ci sedemmo su un materasso. Passai la bottiglia a Pedro che bevve l’ultimo sorso, poi la gettò a terra.
-Passiamo qui la notte- dissi.
-Bene- rispose. Poi si alzò. -Vado a pisciare.-
Scomparve nel buio, in direzione del salone con il palco. Si chiama forse platea? Poco importa.
Quel che conta è che andò là a pisciare e non lo vidi mai più vivo.

 

5.
Devo essermi assopito, cotto dall’alcol, il fumo e la tensione. Venni svegliato da una piacevole sensazione al basso ventre. Impiegai qualche secondo a capire. Qualcuno mi stava facendo un fantastico pompino. Allungai la mano. Capelli lunghi, pelle delicata, labbra morbide che non cessarono di succhiare. Non la vidi mai, in quelle tenebre, ma ero certo fosse la zingarella che avevamo ucciso. Ciucciando, quel demonio mi stava rubando l’anima. Sapevo che era così. Chiusi gli occhi in preda ad un piacere sconvolgente, lasciandomi andare.

 

6.
Quel che mi ha salvato dev’essere stato una specie di raptus, come alcune ore prima quando l’avevamo uccisa. Improvvisamente ho cominciato ad odiarla. Più lei mi faceva godere, più desideravo annientarla. Volevo sublimare il mio orgasmo distruggendone la fonte ormai inutile. Un istante prima di sborrarle in bocca le ho tirato una ginocchiata sulla tempia. Ha gridato di dolore mollando la presa. Allora l’ho afferrata per i capelli e l’ho schizzata sul viso. Singhiozzava per la rabbia e per il male. Mi sono asciugato sulla sua pelle strofinandomi su lei come fosse uno straccio. Sentivo la sensazione sgradevole delle sue lacrime calde ma allo stesso gelide che si mischiavano con il mio sperma, impregnando i peli pubici. L’ho allontanata con un calcio in faccia. E’ rimasta immobile ed in silenzio. Nel buio non ho visto niente, altrimenti credo sarei impazzito. Mi sono rannicchiato e ho cercato di dormire, stavolta senza sogni o senza incubi.

 

7.
Mi ha svegliato la polizia il giorno dopo. Davanti a me il cadavere di Pedro riverso a faccia in giù con la tempia sfondata. In faccia e in bocca aveva tracce del mio seme. La scientifica ha stabilito che l’ho ucciso io con il mio calcio dopo che me lo ha succhiato.

 

8.
Quel piccolo demonio di sporca zingara ha vinto.

Luca Ducceschi