La sete

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Mi sveglio ancora.
Il risveglio è sempre il momento peggiore, quando la sete monta come rabbia, ed il corpo è squassato da spasmi: hai bisogno di dissetarti.
Col passare dei secoli riesci a abituarti, senza più farci caso, basta qualche anno ad affievolire l’istinto.
Ma qualcuno mi ha chiuso qui e l’astinenza è atroce: sconosciuti ridono di me, sto consumandomi: le labbra arrotolate sulle gengive, ferina, ruggente, incapace di pensare.
Voglio mordere, bere, riacquistando calma, respiro e consapevolezza di me in quello strano deliquio orgasmico provocato dai fiotti di sangue quando riempiono la bocca, scendendo giù per la gola in ampie sorsate.
Torturare un immortale.
Quest’istinto primordiale, base dell’essenza stessa dell’essere vampiri, dopo poco diviene una routine, controllabile come la voglia di caffè a colazione per un manager. Squallido, ma vero.
Invece sto sudando freddo, riassalita da una sete accecante, come la prima volta, come il primo giorno, come un’adolescente tossica bisognosa della sua fottuta pasticca.

Fatemi morire piuttosto.
E’ perché non sono più abituata, e ci ricado dentro a perdifiato, arpionando l’aria con le zanne, sperando di trovare una vena che si spacchi, sperando di sentire l’urlo di una vittima...
Ma è il mio urlo e non muoio: vengo torturata.
Non so chi sia stato, a chi abbia pestato i piedi, se un qualche vampiro antico e potente a cui ho invaso il territorio, se un giovane che il territorio sta cercando di conquistarlo, addirittura un umano che ancora crede di poter sconfiggere noi mostri non lo so e non mi interessa.
Dissetatemi.
Sono come una mosca in barattolo, in questo cubo di cemento indistruttibile.
Ho sete, cerco di lacerarmi, di bere da me stessa, ma è il delirio, da mesi, sonno e veglia che si succedono, in questa tortura progettata da un sadico genio.
Ho Sete.

Francesca Piantanida