Il ribelle

Il sentiero che si inerpicava per la collina, era fiancheggiato da basse siepi di mirtilli e disseminato di bianchi ciottoli. Su nel cielo, grossi corvi gracchianti giocavano con le correnti d'aria, volteggiando in ampi cerchi.
Il piccolo Bran si fermava a prendere le dolci e succose bacche rosse, mentre Lud, suo padre, continuava a camminare, chiamandolo ogni volta affinché non perdesse tempo. Guardando il sole che si abbassava, affrettò il passo; il vecchio Lurka era stato chiaro: solo il periodo compreso fra la calata completa del sole e la comparsa delle prime stelle poteva essere quello giusto.
Lud avrebbe voluto che il bambino godesse di quelle gioie, così come egli stesso ne godette alla sua stessa età; aveva solo quattro primavere e avrebbe voluto vederlo crescere, insegnargli a cacciare, riconoscere il vento buono da quello cattivo e, soprattutto, gli uomini buoni da quelli cattivi; ma non poteva esimersi da fare il proprio dovere. Proprio come tutti gli altri uomini del clan prescelti per salutare la nuova estate.
“Padre, nel posto dove andiamo ci saranno altri bambini come me?”
“Sì, tanti altri.”
“E potrò arrampicarmi sugli alberi per prendere le mele dolci?”
“Sì Bran. Potrai arrampicarti su un grande albero. Il più grande di tutti gli alberi, carico di grosse mele dolcissime.”
“E se poi non saprò più scendere? Mi aiuterai?”
“Certo, io sarò là sotto non ti preoccupare.” Lud lo disse come se nel suo stomaco si rotolasse un porcospino. Aveva le lacrime agli occhi ma non avrebbe mai permesso che suo figlio se ne accorgesse. Il piccolo era stanco e gli chiese di essere preso in braccio; lo prese e lo strinse per qualche attimo a sé, come a voler fissare quell'attimo per l'eternità. Poi lo fece sedere a cavallo sulle sue spalle e continuò la salita.
Giunsero infine sulla cima della collina, da dove si vedeva la grande pianura verde sottostante e il luogo sacro. Gli altri erano già arrivati, mancavano soltanto loro.
“Padre! C'è davvero un albero enorme! Ma è strano... senza foglie... e assomiglia a un gigante. Non mi piace.” Disse Bran, passando dalla meraviglia alla delusione come solo i bambini sanno fare.
Una volta arrivati nella pianura, Lud mise giù il figlio, il quale si unì presto agli altri bambini che giocavano a rincorrersi tra gli arbusti di erica e gli enormi megaliti.
Lurka, il druido, andò incontro all'ultimo arrivato con aria di rimprovero. La lunga barba grigia nasceva da un viso magro sul quale risaltavano due penetranti occhi azzurri.

“Sei in ritardo. Pur essendo la tua prima volta, devi renderti conto di quanto sia importante eseguire la cerimonia alla perfezione.”
“Chiedo perdono. Volevo solo passare più tempo con mio figlio e mi sono attardato a consolare la mia donna.”
“Che Belenus non ti senta!” Disse, stizzito, il druido. “Dobbiamo a lui ogni giorno della nostra esistenza e tu osi indugiare in cose futili al momento di rendergli grazie?”
Nel frattempo, l'ultimo raggio del pallido sole svanì oltre l'orizzonte, lasciando uno scenario rarefatto in bilico tra la luce e le tenebre. La nebbia cominciava a sollevarsi dal suolo. Il momento atteso per tanto tempo arrivò.
A un cenno di Lurka, gli uomini cominciarono a radunare i bambini, prendendoli per mano e avviandosi, in fila, verso il gigantesco Uomo di vimini. Quest'ultimo era stato costruito con lunghi rami di quercia e vimini strettamente intrecciati, in maniera tale da rappresentare una rozza figura umana alta quanto dieci uomini e con le braccia aperte a simboleggiare l'atto del ricevere del grande dio Belenus.
Nella parte centrale, grossomodo corrispondente all'addome e raggiungibile mediante una rampa, i rami formavano una gabbia cilindrica, nella quale i bimbi venivano fatti entrare uno a uno e cominciavano a giocare, arrampicandosi su per le sbarre di legno pazzi di gioia per la nuova esperienza.
L'ultimo fu Bran, ora ansioso di entrare per raggiungere gli altri, ma trattenuto dal padre che avrebbe voluto stringerlo a sé; non fosse stato per il druido che, impaziente di cominciare la cerimonia, spinse via Lud e chiuse la gabbia. Gli uomini si presero per mano e formarono un cerchio attorno all'Uomo di vimini. All'interno del cerchio, Lurka prese una grossa torcia e cominciò a recitare una formula in gaelico; la sua voce, dapprima bassa e a stento udibile, andò via via crescendo d'intensità. Quando finì, gli uomini ripeterono la formula in coro, mentre il druido avanzava verso la struttura in legno con la torcia davanti a sé. I bambini all'interno della gabbia si zittirono di colpo e si misero a osservare la sinistra scena attraverso i rami; qualcuno di loro cominciò a piagnucolare.
Quando la fiamma della torcia toccò la base dell'Uomo di vimini, dal legno secco si alzarono alte lingue di fuoco davanti alle quali i bimbi iniziarono a urlare chiamando i loro padri, mentre questi ultimi si muovevano in tondo continuando la cantilena che invocava il dio Belenus.
In preda alla rabbia e al rimorso, Lud si staccò improvvisamente dai compagni e si lanciò verso le fiamme sempre più alte, mentre l'odore di carne bruciata cominciava ad ammorbare l'aria e le strilla dei bimbi erano strazianti; con uno strappo aprì la porta della gabbia ustionandosi le mani e, buttandosi in mezzo al fuoco, individuò e prese il figlio in braccio, avvolgendolo nel proprio mantello, mentre il druido urlava di rabbia e disperazione.
“Nooo! Pazzo sacrilego, fermati! Stai rovinato tutto... tuttooo!”.
Bran era conciato male: i capelli bruciati e la pelle, una volta candida, terribilmente ustionata. L'uomo uscì rapidamente dal rogo e si mise a correre con tutte le sue forze, egli stesso aveva riportato delle ustioni sulle mani e sul viso; la sua barba e i lunghi capelli rossicci erano bruciati per metà, ma l'importante, per il momento, era che suo figlio fosse sfuggito al sacrificio. Lud continuava a correre come un ossesso, fendendo la nebbia ormai densa come ovatta, cadendo e rialzandosi prontamente, pensando che poteva scappare a sud dove, si diceva, c'erano dei druidi buoni che forse avrebbero potuto guarire suo figlio.
Inciampò in un masso e cadde pesantemente a terra, tenendo però Bran sempre stretto a sé.
Cercò di rialzarsi ancora una volta ma la sua testa fu stretta in una morsa e venne sollevato in alto; lunghi artigli trafiggevano tempie e guance. Grugnendo di dolore, vide la nebbia davanti a sé addensarsi in una gigantesca forma semi-umana con un volto orribile e ghignante, profonde orbite vuote e lunghe zanne ferine. L'essere gli strappò il figlio che teneva ancora stretto al petto, rivolgendogli un sussurro rabbioso, basso e potente: “Non ti appartiene più... adesso è mio!”.
Lud ebbe appena il tempo di pensare che quella mostruosa apparizione non poteva essere Belenus, il dio buono della fertilità e dell'abbondanza, che un potente lampo scaturì dall'aria e lo incenerì.
Simili a fantasmi, dalla nebbia comparvero a poco a poco gli uomini presenti alla cerimonia, seguiti dal vecchio Lurka, tutti ansimanti per la corsa. Stettero a lungo a osservare, attoniti, un piccolo cratere fumante e un mantello bruciacchiato. Nessuna traccia di Lud e di suo figlio.
“Incosciente...” Sussurrò il druido mettendosi le mani fra i lunghi capelli bianchi e cadendo in ginocchio. Poi, rivolgendosi ai presenti disse, con una nota di disperazione: “Siamo davanti alla giusta collera di colui che non viene ricompensato. Spero che questo non ci costi troppo caro.”
Poco lontano, un bagliore arancione diffuso dalla nebbia: anche quell'anno l'Uomo di vimini compì comunque il suo dovere.

Danilo Concas