Terrore a New York

E' una bella notte d’estate. Sto passeggiando per Central Park.
Ai lati del sentiero principale vedo coppiette appartate, c’è anche qualche senzatetto accucciato sulle panchine, avvolto da fogli di giornale rimediati da qualche cestino dei rifiuti. Passo accanto a uno di questi poveracci, quando noto che su uno di quei giornali c’è un articolo del giorno scorso che attira la mia attenzione. Senza disturbare l’uomo che sta dormendo, afferro silenziosamente quel quotidiano. Leggo l’articolo. Si parla di un’esplosione avvenuta nella periferia della città, in un laboratorio di biochimica. Dopo il disastro, la struttura è stata subito assediata dalle forze dell’ordine e messa in quarantena insieme alle zone limitrofe per questioni di sicurezza.
Mi trovai in preda ad una serie di colpi di tosse piuttosto intensi. Avvicinai il mio fazzoletto alla bocca, quando lo guardai lo trovai sporco di schizzi di sangue.
Non curante del fatto infilai il fazzoletto in tasca e continuai per la mia strada. Non sapevo cosa fare. Di andare in ospedale non se ne parlava, anche perché avrebbero scoperto che si trattava di un virus a loro sconosciuto e, se non bastasse avrei dovuto dar loro delle spiegazioni su come mi ero procurato le ustioni che avevo in alcune parti del corpo.
Non potevo certo dire che ero riuscito a scappare via dal laboratorio prima che arrivassero le forze dell’ordine...
Non avevo alcuna intenzione di fare la fine dei miei colleghi sopravvissuti, che a quest’ora si trovavano sicuramente in qualche cella d’isolamento per tenere sotto osservazione il contagio. A me non importava niente delle altre persone, io volevo semplicemente ritornare dalla mia famiglia che mi aspetta a casa, anzi, farei meglio a dire che mi aspettava. Ricordo ancora tutto quello che era successo quando ritornai a casa.
Mia moglie, quando mi vide sobbalzò dallo spavento e come se non bastasse iniziò a gridare vedendo tutte le mie ferite. Richiuse la porta piangendo e si mise a correre in direzione del telefono per chiamare la polizia.
Sentii anche la voce di un altro uomo. La voce di quest’ultimo mi era nuova. Questo mi fece ribollire il sangue nelle vene.
Iniziai a colpire la porta con tutta la forza che avevo in corpo. Mi stupii quando la stessa venne giù facilmente quasi paresse fatta di cartapesta.
Entrai in casa gridando ma non uscirono parole comprensibili dalla mia bocca ma solo dei versi disumani. L’uomo che era in casa con mia moglie mi venne incontro brandendo una mazza da baseball. Fece per tirarmi un colpo quando quasi con disinvoltura la bloccai a mezz’aria e, dopo avergliela strappata dalle mani lo colpii violentemente sulla testa. Ci furono molti schizzi di sangue e la testa dell’uomo si spappolò nel punto in cui la colpii.

Lanciai via la mazza e continuai a dirigermi verso la donna che, nel frattempo si era accasciata in un angolo tutta tremante e con le lacrime agli occhi. L’afferrai per il collo e la sollevai da terra. Iniziò ad agitarsi tutta scalciando e dimenandosi, cercando disperatamente di liberarsi. La guardavo in volto mentre la sua faccia si faceva tutta paonazza. Poco tempo dopo smise di muoversi e rimase ferma, con le braccia che pendevano, priva di vita. La lasciai cadere.
Mi diressi verso l’uscita quando vidi un bambino nascosto dietro una porta. Cambiai direzione e andai verso di lui. Il bambino chiuse la porta di tutta fretta e lo sentii correre in fondo alla stanza. Entrai anche io; era una cameretta con molti pupazzi e con tanti piccoli giochi che erano tutti sparsi per il pavimento.
Il bambino si era andato a nascondere sotto il suo letto nella speranza che non lo vedessi. Mi avvicinai a lui e feci per afferrarlo quando sentii delle sirene sulla strada. Scappai fuori dall’abitazione e ora eccomi qui... a camminare tutto solo in questo dannato parco.
Non ho idea di come potessi andare in giro tranquillo nonostante tutto quello che avevo fatto.
Un altro colpo di tosse.
Ero diventato pazzo?
Non ci capisco più niente.
La vista mi si sta annebbiando, probabilmente per via delle ustioni e non riesco quasi più a camminare. Mi siedo su una panchina e guardo le ferite. Sembrano gravi; la carne è tutta bruciata e di un colore nerastro, è strano il fatto che non riesca a sentire dolore nonostante tutto.
Iniziano a tornarmi in mente dei ricordi frammentati.
Io ero morto.
Avevo avuto un incidente sul lavoro, mi ricordo la corsa all’ospedale con la mia amata mogliettina e poi dentro in sala operatoria dopo l’anestesia totale non riesco a ricordare più nulla!
Sento uno strano prurito alle braccia. Mi gratto ma sotto l’impermeabile sento qualcosa di duro attaccato alle mie braccia. Alzo la manica e sulla pelle mi vedo delle piccole borchie forate attaccate alla carne.
Mi spavento.
Ma cosa sta succedendo?
Mi alzo dalla panchina e inizio a correre.
Voglio gridare.
Lo voglio davvero ma allora perché gli unici versi che mi escono dalla bocca sono così disumani?
Inciampo e cado a terra battendo il viso. Poco distante vedo un oggetto tutto brillante. Lo afferro, è uno specchio, lo avvicino e lo porto vicino al volto.
Niente.
Non si vede niente.
Mi avvicino strisciando al fascio di luce emanato dal lampione e ci riprovo. Questa volta qualcosa riuscii a vedere, ma non mi piacque per niente.
Avevo le labbra cucite e al posto dell’occhio avevo una cavità vuota. Scagliai lo specchio il più lontano possibile da me.
Ora iniziavo a ricordare.
In realtà non lavoravo nel laboratorio biochimico.
Sono un loro esperimento!
Quella donna che avevo ucciso era sì mia moglie, ma ormai chissà quanti anni erano passati dalla mia morte. Probabilmente quell’uomo era il suo nuovo marito.
Ormai non me ne fregava più niente. Non avevo alcun rimorso di quello che avevo fatto.
Adesso una sola cosa era nella mia mente.
Fame, molta fame.
Provai e riprovai ad aprire la bocca fino a quando, i fili che me la tenevano legata, mi tagliarono la carne nei punti in cui erano situati.
Una ragazza che passava di lì mi si avvicinò vedendomi a terra sotto il lampione. Stava chiedendomi qualcosa ma non le feci finire di parlare.
Le saltai addosso e iniziai a morderle la carne mentre lei gridava dal dolore.
Scocciato le morsi il collo strappandole fuori la trachea.
Finalmente un po’ di silenzio, non mi piace mangiare con troppo rumore...

Giacomo Ilacqua

Nasce a Varese il 13/03/1988. Lavora attualmente in una ditta di materie plastiche come operaio e studia informatica. Appassionato di pc, fumetti manga, libri horror, fantascientifici e thriller. Adora uscire con gli amici ma in particolar modo con la sua ragazza. Sogna di girare il mondo iniziando dall’Inghilterra avendo intenzione di imparare la lingua per poi arrivare in Australia dove vorrebbe stabilirsi.