Le gambette dispettose della 'a'

Il piccolo Paolo scriveva, chino sulla scrivania, nella sua cameretta. Era un bambino ostinato e preciso. Faceva sempre tutti i compiti. Era il pupillo della maestra Clara, quella che stava insegnando a tutta la classe a scrivere. Quella sera Paolo, ignaro di quello che stava accadendo ai suoi amici, si concentrava sui quadretti azzurrini del suo quaderno.

 

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Anche Andrea aveva già fatto i compiti. Quella sera però, scivolò sulle piastrelle bagnate del bagno. Capovolgendosi all’indietro acquistò velocità e scheggiò con la nuca il bordo della vasca da bagno. Lo schianto non fu abbastanza forte per essere udito dai genitori, che stavano guardando la tv e, di lì a poco, si sarebbero sicuramente addormentati sul divano.

 

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Paolo si concentrava sulle ‘o’ per far sì che riempissero tutto il quadretto, come gli aveva insegnato la maestra. La ‘b’ e la ‘f ’ gli riuscivano difficili da distinguere e doveva pensare un bel po’ prima di appoggiare la penna sulla carta. Con la ‘l ’ e con la ‘e’ invece, era bravissimo. Come aveva detto la maestra, la ‘l ’ era quella ‘lunga’, impossibile sbagliare.

 

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Gabriele era nella sua cameretta e i compiti non li aveva finiti. Era, concentrato sulla playstation ed eccitato all’idea di superare il fatidico ottavo schema con la prima “vita”. Quando il cavo elettrico, leggermente sfilacciato, interruppe bruscamente la sua partita s’innervosì a tal punto da spingere la spina nel suo alloggio con entrambe le mani, bagnate di saliva. Il salvavita, stranamente, non funzionò.

Il cruccio maggiore di Paolo non era tanto quello di ricordarsi le singole lettere, quanto quello di unirle. Per scrivere la ‘r’ appena dopo la ‘b’, per esempio, aveva provato almeno cinque o sei volte, su un foglietto di brutta copia. Anche attaccare la ‘a’, con quella gambetta che doveva cominciare in basso, subito dopo alla ‘v ’, con ha la gambetta che finisce in alto, gli causava parecchi problemi, soprattutto se la ‘v’ era maiuscola. Ma il piccolo Paolo, chiuso nella penombra della sua cameretta, non si faceva certo scoraggiare dalle gambette dispettose della ‘a’.

 

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Valeria attraversò i binari del treno in bicicletta e senza guardare, come sempre. Il passaggio a livello si era scordato di funzionare e le cuffiette del suo nuovo i-pod funzionavano benissimo. Fu travolta senza nemmeno accorgersene. Il treno, dopo un centinaio di metri, riuscì a fermarsi.

 

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Paolo, con calma continuava a scrivere i nomi dei suoi compagni di classe sul suo quadernetto speciale, ma solo di quelli cattivi; quelli che lo avevano chiamato ‘maghetto negretto’. Quelli lì proprio non li sopportava... cosa ne potevano sapere quegli antipatici, di magia?

Raffaele Serafini