Quando ti vedo torno ragazzo

Se posando lo sguardo su di me tu potessi riconoscermi, in un attimo tremeresti fino alla punta dei pochi capelli che ancora porti. E balbettando come quando, ai tempi della scuola, qualcuno voleva suonartele, chiederesti - Perché? Proprio ora, dopo tutti questi anni?- Non c’è un motivo, ovviamente. Semplicemente, penso che un uomo, quando si accorge di invecchiare, abbia paura che la sua passata giovinezza svanisca anche nel ricordo, e rivedendo i vecchi amici si illuda che una parte di lui in fondo sia ancora quel ragazzino che non si è accorto di entrare nella parabola discendente della vita, prima ancora di sentirsi grande.
Ma questo non accadrà, neanche stasera, perché non mi hai mai riconosciuto. Sì, hai capito bene. Vengo spesso a trovarti, come un’ombra che cerca di riunirsi al possessore che la ha abbandonata. Mi aggiro nel palazzo del tuo studio, aspetto nel parcheggio dove hai la tua auto.
Ho perso il conto delle volte in cui mi hai incrociato, e mi hai gratificato di un’occhiata stanca e distratta.
E a tarda sera, quando da bravo uomo di casa scendi a buttare la spazzatura, io sono sempre parcheggiato vicino al tuo cancello e ti osservo, anche stasera, sotto questa pioggia leggera come la carezza di una donna.
Eppure il tuo sguardo si posa su di me senza illuminarsi di ricordi, come succede invece a me.
Un po’ hai ragione, sono stato via parecchio tempo, ma ora ho sentito nostalgia della mia vecchia città, e volevo rivedere te, che mi ricordi i miei anni da sbarbatello.
Non l’avrei mai creduto, vederti con questa pancetta. Pensare che ti chiamavo Lisca quando ci siamo conosciuti! E ti sono rimasti pochi capelli... che ne è del capellone un po’ effeminato che mi regalava sempre un sacco di erba?

Certo, sono cambiato anch’io, ma i capelli lunghi li porto ancora, e mi sono tenuto in forma. Se tagliassi la barba, vedresti gli sfregi che mi hanno fatto dopo pochi mesi in cui ero al carcere minorile, dopo avermi sodomizzato. Stupido io a rifiutarmi a quei bastardi, ma all’inizio pensavo che i giudici si sarebbero resi conto dell’errore commesso. Credevo che sarei uscito presto. Beata ingenuità, vorrei avere di nuovo i miei spensierati sedici anni!
Ti ricordi com’era bello essere ragazzetti nella metà dei ’70? Si ascoltava musica rock ovunque ci si trovasse, e si respirava aria di rivoluzione. Profumo di erba e incenso.
Tu eri il ricco ragazzino sensibile e viziato che sognava di fare la rockstar, io il bulletto di periferia che ti aveva preso sotto protezione. Io ti ho insegnato a camminare nei quartieri popolari senza fartela addosso per la paura, tu mi hai fatto ascoltare un sacco di dischi e fatto provare alcuni piaceri... stupefacenti.
Mi lusingava che uno come te volesse l’amicizia di un ragazzo con genitori molto poveri. Ho gradito anche il comportamento di tuo padre quando hai avuto la geniale idea di prendere la sua Alfa e mettere sotto quella vecchia.
Il suo amico avvocato ha fatto un ottimo lavoro. Non è stato difficile convincere tutti che io, un ragazzaccio di borgata, ero il tuo spacciatore, vero? E che l’auto la guidavo io, perché avevo deciso di prenderla e ti avevo plagiato!
Ma in fondo non ce l’ho con te né con gli altri per avermi rovinato la vita, anche perché tuo padre è morto da tanto tempo, e l’avvocato... guarda un po’ che sfortuna, il mese scorso è stato investito da un pirata della strada!
E poi, non so se te l’ho detto, ma mi basta osservarti anche da lontano per ricordarmi della nostra amicizia e ritornare ragazzo.
Lo stesso effetto che mi fa tua figlia Elena.
Ah, lei è come quelle pesche morbide che mangiavamo d’estate nel tuo giardino. Ancora un po’ acerba, ma già dolce e vellutata.
Sedici anni sono un’età critica, in cui non ci si confida molto con i genitori, i figli diventano un mistero. Parlo per sentito dire, perché io i figli miei non li ho cresciuti, e forse in giro per il mondo ce n’è qualcuno che ignoro di avere.
Non sai, vero, che frequenta un uomo molto più grande di lei, da un po’ di tempo? Non ti ha detto cosa fanno insieme?
Te ne farai presto un’idea. L’ho vista alle nove e mezza di sera. Alle undici l’ho lasciata su una panchina nei pressi del commissariato. Nello zaino ha un po’ di tutto, una bustina di coca, un po’ d’ erba, pasticche varie. Ma credo che la cosa più evidente sia l’ago infilato nel braccio, così, a scanso di equivoci. Sai, grazie a voi ho capito che fare lo spacciatore poteva essere una professione redditizia.
Tranquillo, non è morta, l’ho solo messa a nanna. Te l’ho detto, non ti serbo odio, mi sono solo ripreso i miei sedici anni, quelli che mi avevi tolto.
Sbaglio, o da qui sotto sento squillare il telefono di casa tua? Sì, è proprio il tuo, ma scommetto che stai dormendo sul divano con la televisione accesa, mentre aspetti il ritorno di tua figlia.
Dovresti alzare la cornetta sai, credo che qualcuno abbia notizie per te. Credo sia importante.
È meglio se rispondi.

Vincenzo Barone Lumaga