Nel tunnel

La metropolitana della linea uno sferragliava con un rumore quasi insopportabile, totalmente immersa in uno dei tanti tunnel sotterranei che costituivano un mondo a parte, sotto la città. Ogni tanto Giovanni si chiedeva cosa ci fosse realmente, in quel labirinto sotterraneo di binari, pozzi d’areazione, buie aree di manutenzione. Se ne sentiva quasi attratto, nel fuggevole desiderio di allontanarsi dal suo mondo luccicante e ordinato. Cora, seduta accanto, era totalmente immersa nella musica del suo lettore mp3.
“E’ bella come quando ci siamo messi insieme”, pensò. La ragazza era bella sul serio, con quella cascata di capelli castani, con la sua pelle chiara appena spruzzata di efelidi e gli occhioni blu. Sembrava quella giovane attrice di un telefilm americano, quello che in italiano era stato tradotto con un titolo assurdo. Quando le faceva notare quella somiglianza, lei sorrideva e gli dava dello sciocco, ma le si leggeva negli occhi che apprezzava il complimento.
Il treno fermò brevemente sulla panchina della stazione di Lotto, caricò un variegato insieme di umanità, quindi ripartì, rituffandosi nel tunnel.
“Che pensiero stupido, quello di fuggire”. Giovanni amava Cora e non c’era giorno che mancasse di ringraziare Dio, il destino o chi altri per avergliela fatta incontrare. Ripensò a quand’era uno studente squattrinato, orfano, che arrancava per pagarsi l’università. Aveva tenuto duro, saltato gli ostacoli, evitato le trappole della vita e s’era laureato in lettere moderne. La fortuna lo aspettava dietro l’angolo, così s’era trovato assunto in un giornale a tiratura regionale. La sua bravura era servita - stranamente, trattandosi pur sempre dell’Italia - a fargli fare carriera. Un assessore l’aveva notato e gli aveva proposto di lavorare per lui come portavoce. Entrare in quel mondo dorato, fatto di ricevimenti, congressi, feste di partito, gli aveva fatto incontrare Cora. Lei era stata da subito la sua ancora di salvezza, quando già cominciava a pensare di averne piene le scatole di persone finte, che vivevano di apparenze, inganni e giochi di potere. Lui non era così, avrebbe voluto diventare uno scrittore, ma ai soldi non si comandava, specialmente per chi non aveva una famiglia su cui contare o degli amici importanti.
Cora era la luce del sole, in un mondo di scintillanti e ingannevoli ombre.
“Forse questa sera le chiederò di nuovo di pensare all’idea di fare un figlio”. A trentatré anni, cominciava a sentire l’istinto di paternità, ma Cora, più giovane di lui di nove anni, non ne voleva ancora sapere.
Il treno sembrò diminuire appena di velocità, mentre la luce della prossima stazione divorava il buio del tunnel.

Giovanni si svegliò quasi sobbalzando. Il treno era fermo nella stazione di Uruguay. Uno zingaro con una fisarmonica in mano stava scendendo, rifilando uno scappellotto al lercio bambino che gli stava a fianco.
Aveva fatto un sogno assurdamente realistico. Si guardò di fianco e ne intuì il motivo. Quella splendida ragazza che s’era seduta accanto a lui da Cordusio, era lì ancora. Teneva gli occhi incollati su una rivista ed era così bella e delicata da sembrare dipinta. Per un attimo pensò di chiederle se si chiamava Cora, ma avrebbe rischiato solo di passare per uno dei pazzi che popolavano il variopinto sottomondo metropolitano. Si passò una mano sugli occhi, ricordando ancora qualche dettaglio del sogno. Evidentemente l’abbandono della facoltà gli bruciava ancora, dopo così tanti anni; il ricordo saltava fuori così, all’improvviso, di tanto in tanto. La laurea in lettere era rimasta giusto un sogno. Altro che lavoro come giornalista, portavoce di un assessore. Altro che feste e convegni. Doveva accontentarsi di lavorare come guardia giurata, frequentando corsi professionali quando i turni glielo permettevano. Ora aveva da parte un po’ di soldi, ma gli sarebbero serviti anni fa, quando s’era trovato senza fondi per pagarsi i libri, la retta universitaria, perfino i mezzi di trasporto per arrivare in centro tutti i giorni. Avrebbe forse fatto bene ad accettare quelle assurde proposte di lavoro i cui annunci erano affissi in bacheca, in facoltà? Beh, oramai era troppo tardi anche per pensarci.
Il buio del tunnel sotterraneo era avvolgente, a tratti sembrava poter smorzare le luci sporche del vagone su cui viaggiava. Giovanni lo trovava una metafora efficace della vita. Sorrise: in fondo le sue vecchie velleità da scrittore ogni tanto gli facevano partorire ancora quelle idee quasi poetiche.
La ragazza - Cora? - si alzò, preparandosi a scendere alla prossima fermata. Avrebbe voluto salutarla. Chissà se l’avrebbe rivista? Non aveva una donna ad aspettarlo a casa, però forse qualcosa stava nascendo con Alessia, una delle sue compagne del corso d’informatica. Non era forse bella come (Cora) quella sconosciuta, ma il suo sorriso era uno dei più caldi, solari, che avesse mai visto. In fondo, la vita non andava poi così male.
La stazione di Bonola s’annunciò con le sue luci e il treno rallentò.

 

Giovanni scivolò quasi dal sedile, picchiando appena la testa sul finestrino dell’unto vagone metropolitano. Aprì gli occhi, umidi come se stesse per piangere. S’era addormentato, e aveva fatto un sogno, una roba confusa, piena di immagini sovrapposte, che già andavano scemando. Si guardò intorno, non c’era nessuna traccia della fata dai capelli castani, che assomigliava a quell’attrice americana, così bella. I suoi compagni di viaggio erano pendolari stanchi, qualche studente con lettori mp3 nelle orecchie, non pochi extracomunitari dallo sguardo perso in ricordi dei loro paesi, più caldi e luminosi di Milano, anche se meno ricchi.
Il suo orologio segnava le diciannove passate da poco. Era in lieve ritardo. Si chiese se Alessia fosse già andata al corso. Quell’impegno portava via loro, ogni settimana, un paio di sere in cui potevano stare insieme. La sua compagna voleva quell’attestato per cercarsi un lavoro migliore che non quello di telefonista per la Doxa; in fondo la capiva. Tirare avanti col suo stipendio da traduttore free-lance per una piccola casa editrice, era difficile. Lui che, con la sua laurea, aveva sognato di diventare un giornalista, magari di scrivere un libro. Se ripensava ai sacrifici che aveva fatto per completare quegli studi, si sentiva stupido. Tre anni chiuso nel piccolo bilocale che aveva acquistato con l’eredità dei suoi, rinunciando ad amici, feste e divertimento per pagarsi la facoltà. Si doveva ritenere fortunato ad averne incontrato una donna, in effetti. Se due anni fa non avesse deciso di arrotondare lo stipendio per comprarsi il portatile, facendo un part-time serale per la Doxa, non avrebbe mai conosciuto Alessia. A quel pensiero, trovò ridicoli i dissapori che aveva avuto con lei nelle ultime settimane. Le avrebbe concesso di riparlare di matrimonio, e di un figlio, anche se a trentatré anni Giovanni si sentiva troppo irrealizzato per voler diventare un padre.
“Se il fiorista sotto casa è ancora aperto, le comprerò delle rose”, pensò.
In quel momento il treno cominciò a rallentare. Il buio del tunnel veniva man mano a meno, più ci si avvicinava alla prossima fermata. Sorrise, pensando che anche grazie a un sogno stupido come quello che aveva fatto, si poteva trovare la volontà di uscire da un tunnel molto meno fisico, ma più profondo, insidioso.
La luce aumentava, costringendolo a chiudere gli occhi. Da quando le stazioni avevano delle lampade così forti? Si mise una mano a coprire le palpebre. Era davvero qualcosa di fastidioso, insopportabile. Era...

 

<< L’abbiamo perso, porca puttana! >>
L’uomo in giacca scura inarcò un sopracciglio, vedendo l’imperturbabile professor Anania perdere la pazienza. Il suo assistente, di cui non ricordava il nome, si tolse la mascherina, avendo la decenza di staccare i macchinari dal corpo del ragazzo, prima di stendergli un lenzuolo addosso.
<< Qual è la causa del decesso? >>
<< Aneurisma cerebrale. >> Anania pronunciò quel nome come se quel poveretto fosse morto per fargli un dispetto. << Per tutto il tempo che abbiamo seguito la sua crisi, abbiamo visto che l’MS 4 ha funzionato fin troppo bene. >> Il professore parlava del farmaco sperimentale col suo asettico nome da laboratorio. L’uomo in giacca a volte si riferiva al medesimo chiamandolo col nome gergale - Sophia - con cui l’esercito aveva finanziato l’intero progetto.
<< Averlo fatto morire non mi sembra un gran risultato >>, ironizzò. << Pensi se fosse stato utilizzato su dei soldati in missione. Al posto di stimolare il loro sesto senso - terzo occhio - lo chiami come vuole, li avrebbe uccisi tutti. >>
Anania sbuffò. << E’ chiaro che questa è solo una fase sperimentale. Il dosaggio esatto è tutto da scoprire. Questo Giovanni vattelappesca, è stato un buon soggetto. Buona salute fisica, buon QI, nessun parente stretto che indagherà sulla sua morte accidentale. Quest’ingaggio per sperimentare nuovi farmaci è in nero, sotto nome fittizio. L’idea di lasciare gli annunci negli atenei funziona bene, abbiamo già un altro buon candidato, non si deve preoccupare..>>
<< Infatti non lo faccio >>, tagliò corto. << Ma, almeno, l’MS 4 ha in qualche modo avuto effetto, prima di ucciderlo? >>
Il professore sorrise, soddisfatto dell’occasione per togliersi dall’imbarazzo. << Abbiamo registrato un’attività cerebrale senza precedenti. Fino a trenta volte superiore al normale, una cosa da non credere. Alta attività REM, onde beta alle stelle, aumento del campo elettromagnetico del soggetto. Se solo si fosse svegliato per poterci raccontare ciò che ha visto...>>
<< Morire a ventisei anni, per una cosa del genere, mi sembra una crudeltà. >>
<< Cos’è, maggiore, nel suo lavoro è contemplata anche la pietà? >>, scherzò Anania, con fare vagamente beffardo. Per essere un primario, si dimostrava spesso gretto, insensibile.
L’uomo in giacca scura raccolse il soprabito, dando da capire che stava per andarsene. << Mi faccia avere un rapporto dettagliato, professore. E veda di essere convincente: ciò che ho visto del Mind-Stimulator non è affatto positivo, finora. >>
Guadagnò la porta, senza aspettare una risposta. Prima di uscire, tuttavia, si voltò. Aveva una curiosità, dopo tutto.
<< Mi dica, professore, cosa pensa che abbia visto questo Giovanni, dopo essere svenuto, prima di morire? >>
Anania allargò le braccia. << Non lo so. Posso ipotizzare che abbia visto cose che noi possiamo solo immaginare. Il futuro del nostro mondo, la realtà in forma quadridimensionale, il tunnel dello spazio-tempo... le possibilità sono infinite. Mi faccia avere quei fondi, e le dimostrerò tutto questo. Il progetto può andare molto oltre le applicazioni pratiche che voi avete pensato. >>
Il maggiore uscì, senza rispondere. Gli faceva piacere pensare che, qualunque cosa avesse visto quel poveretto, si fosse accorto che in fondo valeva la pena lasciare questo mondo per un qualsiasi altro, meno crudele. Avrebbe voluto avere la dignità di dimettersi da quell’incarico, ma oramai la sua coscienza aveva solo sporadici rigurgiti, ricacciati indietro dall’istinto a seguire gli ordini, dal rispetto per le gerarchie.
Mentre usciva dal sotterraneo dell’ospedale, recuperò il biglietto della metropolitana dal taschino del soprabito. Odiava muoversi sottoterra, per quanto fosse comodo e veloce.
Gli sembrava sempre, in un certo senso, di seppellirsi prima del tempo.

Alessandro Girola