Babbo Natale a rapporto

Babbo Natale stava aspettando fuori dall’ufficio del boss. Era ubriaco, sporco, puzzolente, e aveva le narici arrossate perché aveva tirato di coca per trovare il coraggio di presentarsi al gran capo.
Era stravaccato su una sedia che stava implorando pietà sotto forma di sinistri cigolii. Era grasso come una balena stitica e incinta, e ormai la maggior parte del tempo era così sbronzo da dimenticarsi la formula magica che gli permetteva di rimpicciolirsi e passare per i comignoli, così era costretto a suonare alla porta come tutti i cristiani. Chi apriva, di solito lo prendeva per un barbone ubriaco convinto di suscitare un po’ di generosità la notte di Natale, e la maggior parte delle volte finiva che si beccava un sacco di legnate e una carrettata di “Trovati un lavoro vecchio ubriacone obeso!
Come dice il proverbio, la tristezza chiama tristezza, così Babbo Natale beveva per dimenticare e sniffava come un aspirapolvere da 50.000 Watt per dimenticare d’essersi dimenticato di portare i regali la notte di Natale. Era conscio d’essere diventato un vecchio alcolista obeso e scorreggione, ma non poteva far niente per cambiare la sua situazione. Ora stava per avere il colpo finale. Il boss l’aveva chiamato a rapporto per licenziarlo. Ne era certo.
«Avanti!» disse una voce roca e catarrosa da dentro l’ufficio.
Babbo Natale s’alzò, e nell’alzarsi gli rimase la sedia incastrata al culo.
«Oh merda!» disse cercando di togliersela in tutti i modi. Gli fosse rimasta incastrata la pancia, l’avrebbe risucchiata in dentro e si sarebbe liberato subito, ma sfortunatamente aveva il culo incastrato, e quello non aveva ancora imparato a risucchiarselo. Quel dannato culone da elefante gli aveva sempre creato un casino di problemi.
«Ho detto avanti cazzo!» disse il boss da dentro. Era incazzato. Ciò fece entrare nel panico Babbo Natale, che non trovando altre alternative, si sedette sulla sedia con tutto il suo peso, distruggendola. Si rialzò di fretta da terra ed aprì la porta dell’ufficio.
«Scusami capo, non ti avevo sentito!» disse il grassone dal vestito rosso entrando nell’ufficio fumoso. Nell’aria aleggiava un forte aroma di marijuana così intenso da sballarti dopo due boccate.
«Siediti ubriacone del cazzo!» disse il boss seduto dietro la scrivania.
Babbo eseguì l’ordine con un po’ di titubanza. Quella sedia era parecchio strettina, e c’era il rischio che rimanesse incastrato di nuovo.
Il vecchio dalla barba argentea dietro la scrivania vide l’imbarazzo dell’ubriacone, così schioccò le dita e, come per magia, la sedia si allargò aderendo perfettamente a quella portaerei di culo del vecchio grassone vestito di rosso.
«Grazie capo!» s’affrettò a dire Babbo.
Il vecchio gli disse di lasciar perdere con un brusco cenno della mano, e con pazienza da orefice si rollò una canna. Un cannone a dire il vero. Un cannone da far sballare un elefante.
Babbo Natale fissò il boss. Non era cambiato molto dall’ultima volta che l’aveva visto circa trent’anni prima. Portava sempre i capelli e la barba lunghi, di un color argenteo tendente al bianco. Aveva gli occhi arrossati per via delle canne, e puzzava di trasandatezza e alcool. Forse la sua pancia era più gonfia di un tempo. La classica panciona da ubriacone era messa in risalto da una maglietta bianca con una scritta nera che affermava “Ricordati che stai parlando con Dio, figlio di puttana. Niente puttanate!
Babbo Natale si guardò intorno. L’ufficio era più incasinato di una camera di un’adolescente alcolizzato e tossicodipendente. La scrivania era il disordine fatto casa. C’erano bottiglie di birra un po’ dappertutto. Vuote, mezze vuote, mezze piene. Due o tre bottiglie di whisky, una montagnetta di cocaina che fece crepare d’invidia il Babbo, due o tre pacchetti ancora imballati di Marlboro, un posacenere grosso come un piatto su cui giaceva una collina di cenere pericolante. Un monitor ultrasottile ricoperto di post-it gialli e caccole, e a fare da contorno, una carrettata di faldoni, dossier, circolari e documenti vari che sommergevano la scrivania. La maggior parte erano coperti da cenere e macchie di birra.
Dio si accese la sigarettona di marijuana e aspirò così tanto che impallidì, chiuse gli occhi e dovette appoggiare la testa al posacapo della sediona in pelle girevole su cui era stravaccato.
Quando riaprì gli occhi fissò Babbo Natale come se fosse un’enorme cagata di Tirannosaurus Rex.
«Guardati, Cristo!» disse Dio. «Fai schifo solo a guardarti!»
Babbo Natale abbassò gli occhi sul suo pancione. Stava cercando di impietosirlo, ma Dio lo sgamò all’istante.
«Finiscila di fare la vittima vecchio ubriacone di merda!» gridò Dio sputando fuori il fumo della canna.
«Scusa capo.»
«Scusa, scusa, scusa, scusa! Non sai fare altro che chiedere scusa, cazzo!»
«Scusa capo.» disse Babbo Natale martoriando il cappello a punta che s’era tolto quand’era entrato nella stanza densa di fumo.
Dio scosse la testa e si grattò la panciona.
«Cosa devo fare con te? Cosa cazzo dovrei farmene io secondo te di uno come te?»
Babbo Natale rimase in silenzio ad occhi bassi.
«Vuoi un resoconto delle tue imprese?» disse Dio afferrando una cartella. «Ecco qui... Hai falsificato le lettere dei bambini scrivendo che volevano come regalo un sacchetto di cocaina, per poi prendertelo tu. Questo per settantanove volte. Nell’ultimo mese ti sei dimenticato di dare da mangiare alle renne e ne sono morte di denutrizione cinque. Quest’anno ti hanno messo dentro dodici volte per ubriachezza molesta, per dodici volte ho mandato i miei avvocati a tirarti fuori di galera, e per dodici volte mi hai promesso che ti saresti lasciato l’alcool alle spalle. L’unica cosa che ti viene bene è mentire! Tre volte ti sei addormentato con la sigaretta accesa, e per tre volte la tua maledetta baracca ha preso fuoco! Ho dovuto mandare gli angeli a spegnerti le fiamme dal culo!»
Dio s’interruppe per qualche secondo, e lesse il fascicolo con molta attenzione. Poi scoppiò a ridere fragorosamente.
«No! Senti questa. Hai venduto una dozzina di folletti di Babbo Natale su eBay! Col ricavato ti sei gonfiato le tasche di coca e sei andato a puttane. Ma io dico, ma che cazzo di Babbo Natale sei?»
«Scusa capo.» disse Babbo.
Dio afferrò una bottiglia di birra vuota e disse: «Dì un’altra volta scusa e ti ficco su per il culo questa fino a fartela uscire dalla bocca!»
Babbo Natale rabbrividì e inghiottì a vuoto. Il vecchio non scherzava.
«E guardami negli occhi quando ti parlo!»
Il grassone riuscì finalmente ad alzare gli occhi e fissò Dio. Non aveva quello sguardo da quando aveva distrutto Sodoma e Gomorra.
«Che razza d’esempio sei per i bambini?»
«Ha ragione signore. Forse dovrei smetterla con questo lavoro.»
«È la cosa più sensata che hai detto negli ultimi sessant’anni!»
«Lo so signore. È che non ho più il controllo su me stesso... Lo psicanalista mi ha detto che sono depresso, e per questo mi rifugio nell’alcool e nella droga.»
«Eh no cazzo! Non dirmi che stai ancora pensando a quella vecchia troia! È così?»
Babbo Natale abbassò la testa e annuì.
«Oh merda! Cosa Cristo devo fare per farti dimenticare quella vecchia sdentata?»
«Non lo so signore. Io la amo.»
«Ma io dico, come diavolo hai fatto ad innamorarti di una come la Befana? Lo sanno tutti che è una ninfomane che va con tutti. E poi è così brutta da far diventare omosessuale un eterosessuale ad una sola occhiata!»
«Non lo so, signore. Io la amo ancora e non riesco a dimenticarla.»
«Oh Cristo!» disse Dio abbandonandosi sulla sedia girevole. Tra le dita della destra stringeva ancora il cannone.
Babbo Natale s’alzò stringendo le chiappe per la paura che gli partisse una scoreggia, e disse: «Signore le risparmio quest’onere, mi dimetto io. La faccio finita con questo lavoro.»
Dio lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi disse:
«Risiediti testa di cazzo.»
Babbo Natale obbedì senza discutere.
Come per magia nella mano sinistra di Dio si materializzò un cellulare che si portò all’orecchio. Il vecchio barbuto attese qualche secondo, poi disse rivolto al telefono:
«Pietro, fammi il favore, dammi in diretta video sul mio schermo un’istantanea su quella cagna della Befana ovunque sia... Sì, subito. Grazie, ciao.»
Il telefono così come era arrivato se ne andò, e Dio girò il monitor al plasma verso il grassone vestito di rosso.
Dopo qualche secondo comparve un’immagine un po’sfuocata, poi via via sempre più nitida.
All’inizio Babbo Natale pensò che fosse un film porno di pessimo gusto, poi riconobbe la protagonista. Era la Befana impegnata in un’orgia con i folletti di Babbo Natale.
«Brutta puttana!» disse d’impeto il grassone.
«Non lo sapevi?» chiese Dio finendo la canna e accendendosi una Marlboro.
«No. Ma dovevo immaginarmelo. Quei nanetti del cazzo mi ridevano sempre alle spalle. Ora capisco perché. Figli di puttana!»
«Già. Ora capisci perché ti ho sempre detto di lasciar perdere quella megera?»
Babbo Natale abbassò la testa e annuì.
Dio rivoltò lo schermo verso di sé, e per qualche istante rimase ad osservare le performance erotiche della Befana. Un accoppiamento di due ippopotami avrebbe fatto meno schifo, pensò.
«Senti vecchio, ti voglio dare un’ultima possibilità che Dio mi strafulmini! Ma per Dio, questa è davvero l’ultima volta!» disse Dio battendo una mano dalle dita ingiallite sulla scrivania.
«Sissignore.» disse Babbo Natale contento come una pasqua.
«Ora ti prendi una pausa di un paio di mesi. Te ne vai in una bella clinica disintossicante, e ti segui tutto il percorso di recupero passo per passo. Ti ripulisci, dimagrisci di una ventina di chili, ed io vedo di parlare di nuovo con la Befana. Non ti prometto niente, ma se vedo che ti rimetti in sesto, il posto rimane tuo. Per la storia della Befana non lo so. Come ti ho detto io ci provo, ma non ti prometto nulla. Tu intanto allarga i tuoi orizzonti. È pieno di belle figliole laggiù, per che cosa credi che le abbia create? Solo per stirare camicie e rompere i coglioni?»
Babbo Natale rise. Dio era davvero una sagoma.
«Toh, levati dai coglioni! E smettila di attaccarti alla bottiglia.»
«Grazie signore.»
«Vaffanculo! Riga dritto.»
Babbo Natale uscì dall’ufficio del boss e tirò un sospiro di sollievo. Pur se non l’avrebbe ammesso mai, il vecchio aveva un cuore d’oro. Fosse stato al suo posto avrebbe licenziato Babbo Natale in un millesimo di secondo. Invece lui no. Lui dava sempre un’altra possibilità.
Mentre aspettava che l’ascensore arrivasse, Babbo Natale si frugò in tasca e trovò una fialetta di coca.
“Ma, sì. Un’ultima sniffata cosa vuoi che mi faccia!” pensò.
Mentre stava allineando una striscia di polvere bianca sulle lenti degli occhiali, sentì qualcosa penetrargli con violenza nel buco del culo.
Saltò come una cavalletta, e si ficcò subito una mano nei mutandomi acchiappando in tempo l’oggetto che lo stava per sodomizzare. Lo tirò fuori dai pantaloni e vide che era una bottiglia vuota di birra. Dentro c’era un biglietto. Babbo Natale s’avvicinò la bottiglia agli occhi e riuscì a leggere il messaggio nel post-it giallo. C’era scritto: “Vedi di rigare dritto bastardo! Ti tengo d’occhio!
Babbo Natale diventò tutto rosso dalla vergogna, poi quando entrò nell’ascensore iniziò a ridere come un bambino. Quel vecchio bastardo di Dio era davvero una sagoma.

Piergiorgio Pulisci