Dust under carpet

Povera gente! In Milano non esisteva più posto alcuno per loro, né un rudere né un sottopasso né altro che rappresentava un misero riparo, niente di niente... nichts! Una volta ancora, il revolver del potere aveva utilizzato il proiettile più efficace: il perbenismo; e grazie a ciò, furono scacciati tutti quanti, uno ad uno, umiliati sotto le forche caudine che da Piazza Loreto portavano a Linate. Via tutti, fuori dai coglioni! Raus! Anni addietro era stata tentata una sorta di convivenza, ma non ci fu nulla da fare: erano troppi, erano chiassosi, erano sporchi, erano arroganti, erano violenti, erano invadenti; e sopra tutto, possedevano altri precetti religiosi. La società non li reggeva più, troppe ne avevano combinate: stupri, rapine, attentati terroristici, atti vandalici, proselitismo, e chi più ne ha più ne metta. Andò avanti così per anni, i cittadini moltiplicavano le proteste, le istituzioni rispondevano per mezzo della retorica, appellandosi al buon senso. Poi venne il tempo in cui: le famiglie che avevano subito efferate rapine in villa dove c’era scappato il morto, donne violentate, negozianti esasperati da continui furti, mamme con bambini plagiati da un credo religioso sconosciuto, inquilini esacerbati dai nuovi vicini sempre più irriverenti, pendolari inviperiti perché nessuno di “quelli” pagava il biglietto sui mezzi, cittadini stufi di vedere Milano insozzata dal loro comportamento incivile e via dicendo; tutti costoro chiesero il conto al governo cittadino minacciando di non pagare l’I.C.I. La risposta non si fece attendere, e con un inasprimento fiscale si trovarono le risorse per mettere a budget ulteriori spese atte ad innalzare il livello di sicurezza e migliorare le cose in genere.

Di tutto ciò che i politici promisero il comune cittadino non ebbe sentore alcuno, pochi fatti seguirono alle parole, e la consueta consapevolezza circa le ruberie dei politici uccise la speranza che qualcosa potesse cambiare; il risultato fu che i milanesi caddero in depressione. Il Comune, solerte, distribuì gratuitamente ad ogni abitante un flacone di Prozac, bastava recarsi nei centri di distribuzione appositamente istituiti. “CONVIVENZA - TOLLERANZA - NON VIOLENZA” i muri di Milano furono tappezzati da manifesti inneggianti a quegli aulici concetti, e le caselle postali di ogni condominio colmate da buste con le spiegazioni del Santo Padre a proposito della regola d’oro enunciata dal Messia durante il “Sermone della montagna”. Risultato: Il Nuovo Testamento in vetta alle classifiche dei libri più venduti. Quando il sindaco, a passeggio con la famiglia in via della Spiga, vide uno straccione di “quelli”, probabilmente ubriaco, avventarsi sulla sua bambina e palparle il culo, ordinò ad una pattuglia di vigili di massacrarlo e portarlo a San Vittore. Il giorno seguente prese l’aereo privato e andò a Roma, dopo avere sostenuto fondamentali colloqui con il ministro della giustizia e sottosegretari vari, tornò nella city meneghina con un importante decreto legge. Tempo una settimana e l’esercito fece irruzione a Milano, l’operazione “Dust under carpet” ebbe inizio. Centinaia di soldati armati ed equipaggiati con ogni sorta di gingillo passarono al setaccio l’intera periferia milanese, inclusi i comuni limitrofi: case di ringhiera, cascine, ex fabbriche, stazioni, baraccopoli, i più disparati bugigattoli; non esitarono di usare lacrimogeni e pesticidi per snidare quella feccia, e se qualcuno di “quelli” solo accennava a resistere, i soldati avevano mano libera nell’utilizzare ogni sorta di metodo coercitivo. Spezzarono braccia anche a bambini, s’accanirono su corpi oramai inermi macellandoli, schiacciarono teste con gli scarponi fino a farne schizzare fuori gli occhi, compirono esecuzioni sommarie nei cortili, nei parchi, nelle strade. Un colpo di pistola alla tempia. Tutto questo accadeva sotto gli occhi consenzienti del medio cittadino milanese, che finalmente, poteva vomitare tutto l’odio che negli anni aveva serbato per “quelli”.
“Sì ammazzalo!” - “Minchia, spaccagli la testa” - “Dagli fuoco!” - “E muori figlio di troia!” - “Torna a ca’ tua, schifoso”, quanti pensieri patriottici accompagnavano le gesta dei soldati. In quattro e quattr’otto fu fatta tabula rasa, Milano liberata nuovamente dopo gli Austriaci. “Milano ai milanesi!” era il nuovo motto sulla bocca di tutti. “Ciao, Milano ai milanesi!” ci si salutava. Passarono circa venti anni da quell’episodio e né le violenze né altre infauste azioni cessarono. Non sapendo con chi prendersela, il cittadino medio milanese cominciò ad incazzarsi coi meridionali e pretendere nuovamente il Prozac aggratìs! Ma chi s’andava ad immaginare che, mentre in superficie la vita correva caotica e gli anni andavano al galoppo, nel sottosuolo, al passo del bradipo, avevano costruito una città!? Chi cazzo s’andava mai ad immaginare che l’inferno dantesco si sarebbe a breve materializzato? Attorcigliandosi attorno alle gallerie delle tredici linee della metropolitana, le vie ipogee s’intrecciavano, sovrapponevano, diramavano, con una logica urbanistica degna di Leonardo da Vinci. La città sotterranea era concettualmente meglio pensata della soprastante Milano, rimasta mediocre, provinciale, priva d’ambizione, in piena decadenza. Gli abitanti di questi inferi avevano la carne molle e la pelle semitrasparente, gli occhi erano dilatati con pupille enormi, la bocca senza labbra con denti appuntiti, la schiena deforme a causa del lungo tempo passato a scavare a mano le prime gallerie. Anche queste creature del Signore avevano dei bei problemi da fronteggiare! Già, il cibo, dopo anni, andava esaurendosi. Non c’erano più topi né scarafaggi di cui nutrirsi. I primi avvistamenti di questi esseri avvenne nelle gallerie delle linee dodici e tredici, le più profonde. Accadde, infatti, che qualche guidatore di metrò sostenesse d’aver visto ombre umane attraversare leste le rotaie; ma chi poteva essere in molti si domandarono, a quella profondità poi! 130 metri. Durante una corsa fuori servizio e a velocità ridotta, il sig. Belli ed il suo collega Ruspega videro nitidamente due esseri umani d’aspetto raccapricciante percorrere a velocità incredibile la galleria, e per qualche decina di metri affiancarsi alla motrice. Ruspega tentò di fotografarli con gli occhiali Xilplix, purtroppo l’immagine immediatamente riprodotta sulle lenti ellittiche non comprovò il loro racconto. Poi, strani avvistamenti cominciarono ad esserci anche in superficie; nella battutissima zona di Città Studi, una coppietta che su una panchina limonava con passione wagneriana, raccontò d’aver scorto dita fuoriuscire da un tombino lì nei pressi e scostarlo di un po’, il ragazzo alzatosi e avvicinatosi al punto, sentì un tonfo e dei rumori in profondità. Un’altra volta, due anziani signori in Via San Marco, dopo aver schiacciato qualcosa al passaggio su una grata dirimpetto ad un supermercato, sentirono chiaramente un urlo di dolore provenire da sotto di loro, quando guardarono istintivamente all’ingiù notarono due specie di fanali che li fissavano, poi un’ombra muoversi velocemente nel buio della buca, mentre l’eco di rochi latrati da bestia ferita s’allontanavano nella profondità. Nell’arco di qualche mese, il numero di questi avvistamenti si moltiplicò, e le fantasie che ne scaturirono si trasformarono in leggende metropolitane; nel mentre, le autorità s’interrogavano sulla drastica diminuzione di cani e gatti randagi e del conseguente effetto negativo sull’occupazione nei canili e istituti affini. Che stava succedendo? Dove andavano a nascondersi gli animali randagi? Nel sottosuolo, intanto, esseri umani quasi scheletrici smembravano le bestie rapite in superficie nutrendosi delle loro carni crude; queste abominevoli creature erano sempre di più e sempre più affamate. Spariti tutti i randagi ora toccava ai milanesi!
Erano rapidi come il battere delle palpebre, un chiusino s’apriva d’improvviso e qualcheduno finiva trascinato sotto terra; in principio accadeva solo di notte, poi a tutte le ore. Testimoni raccontavano di esseri mostruosi che sbucavano dai tombini per ghermire la preda e tirarla giù, all’inferno! Delle svariate spedizioni che s’avvicendarono ad esplorare i sotterranei milanesi, non ci fu nemmeno un superstite, un solo reduce che potesse raccontare l’orrore di quelle creature demoniache, della loro spietata voracità, e, su tutto, che si trattava di “quelli” che con tanta violenza erano stati scacciati tanti anni addietro. Qualcheduno di “quelli” sfuggito al pogrom, aveva trovato rifugio nel sottosuolo, e per paura, rimase lì nascosto per lustri, creandosi un ambiente vitale, adattando il suo corpo a quegli spazi, i suoi occhi al buio, il suo stomaco al cibo putrefatto e via dicendo. Ora la comunità si era moltiplicata, c’erano più abitanti sotto che in superficie. Ancora “quelli”! Il Lambro mormorò. Grazie alla termosonda fu possibile visualizzare su schermo le sagome degli esseri sotterranei, erano colorate di rosso; si scorgeva il cuore pulsare ed il loro cranio era di dimensioni spropositate rispetto al corpo. Ma ciò che maggiormente impressionò fu la gran massa di quella gente che lì sotto formicolava! Le rosse sagome formavano un magma, un grumo informe che cresceva e cresceva, un tumore maligno giunto all’ultimo stadio. Grattare, si sentiva grattare dal sottosuolo; un rumore da pelle d’oca, da brivido, come a taluni provocano le unghie che stridono sulla lavagna, o i denti che sfregano sulla stoffa, oppure le ossa che schioccano. Quell’assordante grattare era il segnale che qualcuno doveva essere sacrificato, dato in pasto a quei mostri, gettato in qualche tombino aperto, scaraventato in qualche fogna, fatto a pezzi e conficcato giù da un cesso.
Le vie erano deserte, la città non pulsava più, era clinicamente morta. I cittadini, oramai barricati nelle abitazioni, udivano quel incessante sfrigolare di unghie anche sui muri domestici, nei condotti del bagno. Non c’era più energia elettrica e dai rubinetti gocciolava liquame fetido. Ben presto le scorte alimentari si esaurirono e, digeriti gli animali domestici (inclusi i pesciolini rossi), i milanesi s’incazzarono con “quelli” per colpa dei quali non c’erano più cani e gatti randagi con cui sfamarsi. “Mostri del casso, statevene a ca’ vostra! Vègnen chi a ciulaa la pagnòta”. I tombini s’aprirono in tutta la città e lentamente ne fuoriuscirono decine, centinaia, migliaia di orripilanti umanoidi dalle carni macilenti. Le fogne esondavano escrementi con fattezze umane. Forti del potente olfatto si diressero laddove il cibo si rintanava, e poi, cominciarono a grattare sulle porte. Le loro unghie, rafforzate in anni di scavi, erano come becchi d’aquila: capaci di bucare il legno, di togliere malta, di erodere i mattoni. Non fecero alcuna fatica nei palazzoni popolari di periferia, i cui muri fatti di gesso e cartone pressato cedettero subito. Adesso potevano finalmente rifocillarsi. I milanesi fuggivano pazzi di terrore, ma ovunque corressero c’erano frotte di “quelli” pronti a brancarli e farli a pezzi. Occorsero tre settimane, a quegli esseri, per completare il banchetto; ora non restava più in vita un solo milanese! Avevano spazzolato via tutto, senza il minimo rispetto per le gerarchie sociali. Il sapore era il medesimo. Non a tutti quei mostri il destino serbò una felice prosecuzione; alcuni sfortunati creparono malamente, vomitando e contorcendosi dal dolore, erano coloro che avevano pasteggiato con carne di notaio.

Borabora