Il marchio di Caino

Tobias non sa cosa dire, rimane lì a guardarlo e il suo cuore si lacera, da una parte vorrebbe aiutarlo, incoraggiarlo nella sua impresa e dall’altra vorrebbe poter avere la forza, il coraggio vigliacco di fermarlo.
- Non andare.
L’altro non risponde riprende a camminare, ma poi con un sospiro si ferma.
- Non capisci Tobias? E’ così che deve essere.
- Ma...
- Qualcosa sta crescendo nel mio cuore e ha sete, fame di conoscenza. Non potrei neanche volendo ignorare tutto questo. Tu, il villaggio, questa vita ogni giorno uguale a se stessa: bella, buona e brava. Ogni giorno mi opprime, mi soffoca sempre di più, come un respiro mozzato. Anche mio fratello...
- Ah! Tuo fratello! E’ stato lui vero a metterti queste idee in testa? Non senti cosa dice la gente...
- La gente? Chi? Quelli che abbassano la testa perché non hanno il coraggio di guardare in faccia la verità? Certo, sì la verità! Che cosa credi che nasconda la Casa, se non la verità, forse misera e meschina di noi uomini, forse grande e magnifica? Forse loro possono fare finta che non esista, guardare da un’altra parte e continuare serenamente a fare quello che fanno, io no... Vieni con me.
Si guardano, uno di fronte all’altro, una sfida silenziosa. Poi uno abbassa lo sguardo, mentre l’altro riprende il suo cammino. Un attimo e Tobias alza il viso per chiamare l’amico, allunga un braccio per raggiungerlo; sono ancora così vicini, la sua mano si tende sempre più lontano, tanto che ha l’impressione che non gli appartenga più, eppure... non riesce neanche a sfiorarlo.

E’ il tramonto quando giungo alla Casa. Varcata la soglia, la delusione però è grande. Le pareti sono spoglie e le stanze vuote. I miei passi rimbombano sul pavimento, mentre dalle finestre giunge il rumore della risacca che m’invade il cuore come una marea. Il cielo è rosso cremisi ma il crepuscolo è ormai alle porte, le ombre si allungano nella stanza e sembrano prendere vita... un pensiero di luce mi attraversa la mente, è l’immagine danzante di un quadro di Matisse poi, improvvisamente tutto diventa oscurità. Dilaga senza forma, non vi è luce o spiraglio che possa fermarla. Sono perduto, il mio corpo è la mia unica certezza. Chiudo gli occhi ormai ciechi e respiro nel buio.

 

Inspiro... Inspiro. Strano. Sento un odore famigliare che prima non avevo notato. È buono. Inspiro... Uhmm, gola. Questo profumo stuzzica il mio appetito. Tutto ciò è curioso, prima non sentivo minimamente il bisogno di mangiare e adesso mi butterei sopra il cibo come un affamato. Inspiro. Questo profumo è irresistibile, senza accorgermene mi sono mosso alla ricerca dell’oggetto del mio desiderio, mentre il profumo cambia trasformandosi in un altro ancora più sublime. Mi muovo velocemente per questa stanza buia, è il mio olfatto a guidarmi, l’oscurità ha ormai una sua forma: la sento, la respiro, la tocco.
Un desiderio sfrenato m’invade, voglio possedere quel cuore tenero e succoso, proteggerlo nel caldo umido della mia bocca, farlo scivolare lento lungo la lingua lasciando che sciolga il suo nettare prezioso. Ahh che squisitezza, inspiro sempre più profondamente percependo nuovi odori ancora più corposi, forti e decisi.
Li custodisco tutti dentro di me, li raccolgo sempre più numerosi, voracemente fino all’esaurimento di ogni mia capacità contenitiva, eppure questi non si fermano, continuano ad assalirmi mentre il mio ventre si dichiara sconfitto.
Si accaniscono sul mio corpo accerchiandolo, risalendo le mie viscere come un fiume in piena; non posso oppormi ad essi poiché non posso impedirmi di respirare.
Trattengo il fiato più a lungo possibile ma non fermano la loro corsa, impazienti le loro acque fremono per unirsi, mescolare i loro fetidi umori. Sto per morire lo sento, l’acqua è ormai giunta alla bocca e come una cascata di fuoco brucia le tenere carni della mia bocca. Cado a bocconi, mentre un’eruzione mi sconquassa fin dalle viscere, liberandole di tutti i fardelli.

 

Inspiro. Mi asciugo gli occhi lucidi per lo sforzo.
Espiro. Mi sento meglio anche se la gola mi brucia e faccio fatica a deglutire; stanco mi lascio scivolare sul pavimento cercando di capire cosa mi sia successo. Respiro, lentamente, piano piano e mentre respiro uno strano profumo sembra avvolgermi in una nuvola misteriosa. Un aroma curioso e sensuale. Lussuria. Leggermente speziato, fresco e rigenerante. Qualcosa dentro di me si muove, si apre, si allunga. Sento il mio corpo giocare a nascondino con questa invitante fragranza. Il mio stesso respiro trasforma la sua cadenza per meglio ritmare il gioco della seduzione. Un gemito esce dalla mia gola, mentre mani che non riconosco più, percorrono il mio corpo alla ricerca di una soddisfazione che non conoscevo ancora. Una lingua di fuoco si muove implacabile nelle mie vene e, giunta al limite massimo, inizia a spingere, spingere, sempre con più forza. Opporsi è impossibile. Abbandonarsi ad essa un obbligo.
Calda sensazione di benessere, dolce e pastoso il suo odore. Zucchero caramellato scorre nelle mie vene. Una canzone... vorrei cadere oltre il confine, perdere il lume della ragione e lentamente lasciarmi sedurre...
- AHH! Una fitta al fianco. AH !... AH! Ma cosa...
BUM BUM il cuore pare mi scoppi nel petto. Cerco aria, ossigeno, boccheggio.
Quest’odore mi opprime, è talmente denso che faccio fatica a percepire un solo soffio, anelito d’aria fresca. Come una coltre si posa su di me, schiacciandomi con il suo odore dolciastro. Sudore e altre secrezioni m’impediscono di respirare, provo a muovermi ma le mie membra sono intorpidite e doloranti, come se qualcuno le avesse percosse, coinvolgendole in un gioco troppo violento. Mi sento sconfitto, distrutto nel fisico, svuotato di ogni sua forza, saccheggiato e depredato da orde di barbari famelici che lacerano le mie carni e bevono il mio sangue. Non ho più difese, eppure so dall’apparire dei condor, sopra questo povero corpo inerme, che altri demoni avanzeranno... attendo...

 

- Quanto tempo è passato? Da quanto tempo sono qui? - Non lo so.

 

Ansioso mi guardo attorno. Sono sfinito, vorrei mangiare come dopo una grande fatica o un lungo digiuno, oppure abbandonarmi a un sonno ristoratore. La mia anima è confusa e sconvolta, non so come quietarla. Cerco sollievo aggrappandomi, come un naufrago, a mille piccoli oggetti che sembrano circondarmi; ma una dopo l’altra, nuove sofferenze si fanno strada nel mio cuore: il bruciante, avido desiderio di accumulare, la fredda solitudine del sospetto, l’ansia e la pena nel perdere.
Sento la morte vicina e con essa scopro che non ho mai posseduto i miei beni, ma sono stati essi a dominare e a controllare il mio spirito, mentre l’unica durevole ricchezza di cui sono veramente padrone, è quella dei vermi della mia coscienza che scavano instancabili, per preparare il nido ad un ancor più terribile nemico.
Non conosce la consolazione del possesso o dei piaceri della carne, questo demone è puro dolore. Il mio corpo si rattrappisce, il volto impallidisce, ma uno scintillio manifesta ancora la mia presenza: è il bagliore del mio occhio. Lo scintillio mobile delle mie pupille che scrutano, osservano, scavano.
E’ una maledizione... Più il mio occhio scopre bellezza, piacere e felicità, più il mio cuore si gonfia, si tende e sanguina, mentre la mia anima grida muta.
Mi dibatto, cercando sollievo ma sono ormai peso di me stesso, sprofondo dentro il mio corpo e sento che qualcosa si è spezzato, trasformato. Qualcosa si allunga, preme per uscire e diffondere il suo veleno.

 

- Ssspss - sibila la mia lingua strisciando sottile e biforcuta dalle mie labbra.

 

Semina discordia, calunnia, tradimento.
E poi... Cresce il livore, la rabbia, l’odio.
Il mio animo non riesce a dominarsi, caduto com’è in potere altrui; il furore spinge le mie membra a colpire con forza crescente tutto ciò che mi circonda.
Come un tamburo votato alla guerra il mio cuore si scaglia nella battaglia, il corpo trema, il viso si fa di fuoco, mentre la mia bocca emette urli senza senso. Follia.
Un cieco desiderio di vendetta arma la mia mano. Odori dolciastri e appiccicosi imbrattano le mie mani che si lordano del sangue della verità.
Sono allo stremo, invoco aiuto, urlo la mia disfatta e crollo sotto il peso del mio primo e ultimo peccato: la Superbia.
E’ questa la verità che ho tanto cercato?
Folle e ingenuo il mio cuore. Lieve e fragile è il confine tra bene e male, e Lei, astuta meretrice è la più infida di tutte. L’implacabile regina ha guidato il suo esercito capitale, puntando direttamente al mio cuore. Ha alimentato con vuote parole la mia sete di conoscenza, spinto il mio cuore ad eccellere per elevarsi sopra le vili passioni, e scavato attorno a me, un fossato d’incomunicabilità.

 

Ah! Vanagloria è la tua che cerchi la verità. Vanagloria è la tua che cerchi l’amore.
Non lo sai che non esistono? Non sai che la felicità è più fragile del petalo di un fiore? E perciò non ti tocchi chi più t’ama.
Non sai che la verità è più infida della menzogna? Non lo sai che ognuno tiene la sua, ognuno vede solo se stesso, ama solo se stesso? Uomo sei piccolo e solo e il paradiso è altissimo e confuso.
Sei in un baratro prossimo al precipizio, china la tua testa, abbassa i tuoi occhi, offri la tua fronte per ricevere il segno del perdono che ti proteggerà.

 

...

 

La luce chiara dell’alba giunse ad illuminare la stanza. Con gambe malferme il giovane uscì dalla Casa e si avviò verso il promontorio.
In piedi di fronte al mare, guardò l’orizzonte che si stendeva libero davanti a lui, poi il suo sguardo scivolò indietro, a guardare la Casa. La mano si alzò e si mosse silenziosa sulla fronte per cercare quel marchio che gli aveva salvato la vita, ma non trovò nulla.

Cristina