Non una parola di più

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Sono vicini. Lo percepisco dai tonfi, impressionanti, che fanno tremare le pareti.
Mia sorella Maddalena, sfortunatamente, può ancora udire le loro grida acutissime. Lei e la sua maledetta curiosità... Disperata, si ferisce un orecchio, sperando che possa servire a qualcosa. Poi le sfugge un’imprecazione. Anche se non sento più, l’ho capito dal modo in cui ha spalancato gli occhi. Dannazione!
Guardo dalla finestra, e vedo le loro sagome filiformi, altissime, minacciose. Noto i visi allungati e quella sorta di fessura che produce il suono insostenibile, quell’urlo dal quale si può fuggire con un unico brutale metodo: smettere di udire.
Hanno sentito le parole di mia sorella, e ora ce ne sono due che stanno venendo qui. Sono usciti da sotto le montagne, solo qualche giorno fa.

C’è chi dice abitassero il pianeta quando l’uomo era ancora un’ipotesi, c’è chi afferma sia il modo in cui la Natura rivendica i torti subiti, c’è addirittura chi insinua siano i nostri salvatori, venuti per iniziarci a una nuova vita. Io dico che non me ne frega niente. Ci stanno ammazzando uno a uno, e questo è quanto.
Maddalena piange nervosamente, le lacrime miste al sangue dell’orecchio che si è lacerata. Bestemmia, perfino. Ora non le interessa più stare zitta.
Sa invece che può fare soltanto una cosa per salvarsi...
Eccoli, sono qui. Maddalena esce di casa e li sfida, decisa, infischiandosene della loro imponente altezza. Quelle creature la osservano un istante, poi se ne vanno.
Dalla finestra guardo Maddalena, esterrefatto: un coltellino le cade di mano, poi lancia la sua lingua addosso alla parete, strillando. Alla fine ha ceduto anche lei. Si è tolta la parola, e ora comunicheremo a grugniti.
Già, solo così quelli-che-urlano ci risparmiano. All’uomo, infatti, non è più permesso parlare. Purtroppo, ce ne siamo accorti soltanto ora.

Simone Corà